Hedda Gabler, di Ferracchiati, da Ibsen

Dal 1 al 22 dicembre, il Piccolo Teatro Studio presenta Hedda Gabler – Come una pistola carica, prima regia di Liv Ferracchiati come “artista associato” in una produzione del Piccolo (di Renato Corpaci).

Petra Valentini/Hedda Gabler. Foto ©Masiar Pasquali

Liv Ferracchiati tiene a specificare che Hedda Gabler – Come una pistola carica, l’opera che presenta al Piccolo Teatro Studio Mariangela Melato, non è una riscrittura dell’opera di Ibsen, ma una scrittura scenica che si affianca al testo originale, ritradotto per l’occasione dallo stesso Ferracchiati insieme ad Andrea Meregalli.

L’esigenza di tradurre Hedda Gabler ex novo insieme a Meregalli, un profondo conoscitore di Ibsen e della sua lingua, è nata dal desiderio del regista di analizzare il testo, di comprenderlo profondamente e di coglierne le sfumature. Allo stesso tempo, di renderlo meglio “dicibile” sul palcoscenico, per sviscerare il forte conflitto che Ferracchiati rileva in Ibsen, come una costante: «la lacerazione tra la vocazione/natura e il dovere, tra il dionisiaco e l’apollineo». Potremmo forse dire, tra l’Es e il Super io.

Per Ferracchiati, sembrerebbe che questo conflitto non possa essere risolto, avendo dovuto, per storia personale, fare i conti con quello che è la vocazione e quello che è il dovere come forma da assumere per comunicare se stessi, argomento trattato anche con la sua compagnia teatrale The Baby Walk nel percorso fatto con la trilogia sull’identità. L’indagine verteva sulla necessità, per comunicare, di costruire una propria identità solo apparentementemente autentica, ma di fatto risultato della scelta tra modelli preesistenti, spesso in contrasto con quello che realmente si desidera e, in quanto tale, fittizia.

Quello che colpisce in Hedda Gabler, è il potenziale esplosivo contenuto in questi due personaggi e tutto quello che li circonda, che tende a bloccarli.

In questa situazione, Løvborg è destinato a soccombere, lasciandosi sopraffare dall’alcool e alla fine fallisce anche nell’atto di togliersi la vita, perché nella colluttazione parte un colpo di pistola che lo colpisce al ventre, facendolo morire, sì, ma in maniera accidentale e per niente eroica.

Il punto non è tanto quello di liberarsi degli schemi, ma di comprendere di essere costretti a vivere entro degli schemi, concetto presente in tutta la drammaturgia di Ibsen, ma in particolare, Løvborg e Hedda Gabler, privi di un ruolo preciso nella società, sono due pistole cariche perché hanno una natura profondamente dionisiaca che si trova a dover sottostare a delle regole.

In una scena interamente di cartone, creata da Giuseppe Stellato, i cui ambienti si avvicinano e si allontanano dal pubblico, assecondando la schizofrenia tra verità e artificio, tra licenze dell’auto-finzione e aderenza al canone drammaturgico – una dialettica che si riflette anche nel raffinato e sottile gioco di commistioni tra elementi d’epoca e contemporanei che Gianluca Sbicca ha immaginato per i costumi – si muovono le attrici e gli attori: accanto a Petra Valentini, nei panni di Hedda Gabler, e allo stesso Liv Ferracchiati, in quelli di Ejlert Løvborg, (in ordine alfabetico) Francesco Alberici (Jørgen Tesman), Giulia Mazzarino (Irene), Renata Palminiello (Signorina Tesman), Alice Spisa (Signora Elvsted), Antonio Zavatteri (Giudice Brack). Le luci sono firmate da Emiliano Austeri, il suono è di Giacomo Agnifili (spallarossa).

Liv Ferracchiati, regista, performer

«Liv Ferracchiati – scrive Claudio Longhi, direttore del Piccolo – coltiva coraggiosamente l’ambizione di coniugare in sintesi complessa la “poesia della scena” con una originale immersione nel testo, affrontato in stretto dialogo con il traduttore Andrea Meregalli e la dramaturg di scena Piera Mungiguerra. Suggestiva ibridazione di naturalismo e tragedia, Hedda Gabler nasconde sotto le parvenze borghesi una veemente mitologia terrigna, che la creazione di Ferracchiati intende consegnarci demistificando il feticcio del personaggio e portando avanti una riflessione sul mentirsi, sull’incapacità di accettare la propria vocazione.»

Impressioni sullo spettacolo

Il personaggio di Hedda Gabler che, in fondo, è da tener presente essere quello che dà il titolo alla piece (vorrà pur dire qualcosa), delinea un individuo prigioniero della propria arguzia, frivolo, arrogante e, in qualche modo “malvagio”, manipolatore del prossimo non tanto per il proprio vantaggio, ma per sfuggire alla noia causata da un’intelligenza repressa dalle convenzioni.

Nonostante le sciabolate verbali di Hedda arrivino un po’ a tutti i personaggi, Løvborg è la vittima designata. Forse perché, dopo un lungo periodo di trascorsi alcolici e orgiastici, sembra aver deciso di accettare un compromesso con le consuetudini borghesi della comunità che lo circonda e, durante la lunga assenza di Hedda – in viaggio di nozze con Tesman – ha sviluppato una relazione adulterina con la Signora Elvsted, contemporaneamente dando alla luce un manoscritto, un opera magistrale che rischia di mettere in ombra e compromettere la carriera accademica dello stesso Tesman.

Dando fondo alla propria malvagità, Hedda, che si è impadronita (casualmente) del manoscritto, lo distrugge, sospingendo successivamente l’amico verso una drammatica (melodrammatica) uscita di scena.

Eterno perdente, Løvborg finirà per ferirsi accidentalmente, quanto micidialmente, con la pistola che Hedda gli ha fornito e Hedda, a causa di quell’a pistola’arma, finirà in balia degli appetiti sessuali del Giudice Brack.

La pirandelliana messa in scena di Liv Ferracchiati, consiste in frequenti salti dal piano della drammaturgia recitata a quello della drammaturgia analizzata e discussa tra gli attori e il regista (teatro e metateatro), sconfinando quindi nella recita della recita, dando adito anche a gustose battute, sovrapponendo i propri nomi a quelli dei personaggi (e poi correggendosi), ironizzando a più riprese sulla scelta di Ibsen dell’immagine dei “pampini fra i capelli”, ma anche avanzando strampalate proposte di modifica del testo a vantaggio del proprio personaggio, battute che rendono questo dramma, solitamente così tragico e disperante, anche un’opportunità per un sorriso.

Hedda Gabler – Come una pistola carica
regia di Liv Ferracchiati
Teatro Studio Melato
dall’1 al 22 dicembre

per maggiori informazioni, Piccolo Teatro di Milano

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