Curata da Denis Curti, il Museo Diocesano diretto da Nadia Righi propone una mostra degli ultimi lavori del fotografo lombardo Maurizio Galimberti, dal titolo Uno sguardo sulla nostra storia (di Renato Corpaci).

Maurizio Galimberti ha cominciato a fotografare con pellicole Polaroid, un prodotto fotografico che attiva istantaneamente il processo chimico di rivelazione dell’ultimo scatto. Ai tempi della pellicola di celluloide, i fotografi professionisti le usavano principalmente per sapere che quello che stavano facendo fosse correttamente illuminato, esposto, inquadrato, prima di impegnarsi a produrre gli scatti che venivano loro commissionati.
Prodotta tra il 1972 e il 1981, la Polaroid SX-70 è una reflex mono lente, pieghevole che permette l’utilizzo di pellicole Polaroid a sviluppo istantaneo. Una volta chiusa, può trovare alloggio in una tasca della giacca e del cappotto. È stata oggetto di culto per la persona che ha tutto, un gadjet che, negli anni ’80, animava i dopocena tra amici. Non mancavano, tuttavia, gli artisti che “manipolavano” gli scatti processati chimicamente, rendendo le stampe arricchite dal contributo soggettivo dell’autore delle opere d’arte.













Il fattore che ha influito sulla scelta di questo dispositivo di ripresa è stato l’avversione di Galimberti per le tenebre della camera oscura. Mentre per quanto riguarda il formato quadrato di Polaroid – dice il fotografo di Meda, non si sa quanto ironicamente – è da far risalire ai suoi primi anni di permanenza in un orfanotrofio, quando il mondo gli appariva frazionato dalle sbarre che occupavano lo specchio della finestra.
Il lavoro di Maurizio Galimberti con Polaroid, di cui è anche stato ambassador, ha attraversato diversi stadi: dai ritratti, ai ready made, ai paesaggi. Oggi, esaurita la scorta di vecchie confezioni di pellicole Polaroid, uscite di produzione nel 2005-6, il fotografo ha trovato una valida alternativa in un apparecchio SQ1, istant camera di Fujifilm; un apparecchio che unisce un sensore digitale a una stampante analogica, formato 62×62 millimetri. Stimolato da Paolo Ludovici, un collezionista delle sue opere, che ha prodotto l’intero lavoro, Galimberti ha raccolto 30 immagini riferibili, in maniera icastica, a fatti e avvenimenti che hanno lasciato un segno indelebile nella coscienza di molti di noi. Le ha quindi ri-fotografate con la Fuji, disponendole poi sulla superficie secondo un ordine che il fotografo rimanda alle dinamiche pennellate di Umberto Boccioni e di Giacomo Balla.
Tra queste immagini entrate a far parte del vissuto di tanti, spiccano i ritratti di papa Giovanni Paolo II, o Nelson Mandela, ritratto durante l’incontro con Muhammad Ali; o di Nikita Krusciov mentre agita la scarpa dallo scranno all’Assemblea delle Nazioni Unite; o ancora Martin Luther King, madre Teresa di Calcutta e i giudici dell’antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Immagini che hanno fatto il giro del mondo e che ancora gravitano intorno alla Terra dove intercettano più e più volte la nostra traiettoria visiva.
Ancora, le drammatiche immagini dei bambini di Auschwitz, della Cambogia di Pol Pot, del Vietnam, di Srebrenica, o ancora dei piccoli migranti morti su una spiaggia o separati dai genitori sul confine tra Starti Uniti e Messico, o che cercano salvezza tra le braccia dei soldati.
O, ancora, i tempi bui del terrorismo, con l’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 o quello alle torri gemelle o ai militari italiani a Nassiria.



Fotografie che, attraverso l’occhio composito di Galimberti, subiscono un processo di sublimazione. Esplodono i personaggi del proprio racconto proiettandoli ai quattro angoli della superficie dell’opera, o innalzandoli in una simbolica elevazione verso il limite della cornice.
Accompagnano l’esposizione due volumi Skira, con testi di Denis Curti, Gianni Canova, Matteo Nucci e Maurizio Rebuzzini.
Maurizio Galimberti
Uno sguardo sulla nostra storia
a cura di Denis Curti
1° marzo – 1° maggio 2020
Museo Diocesano – Milano
Per maggiori informazioni: Museo Diocesano