Debutta l’Alcesti da Euripide al Teatro Litta a Milano, dal 18 al 28 novembre 2021, nella riscrittura di Filippo Renda, il dramma che eleva la donna al rango dell’eroe in battaglia (di Renato Corpaci).

Considerata da alcuni, non una tragedia, ma un dramma satiresco o una fiaba a lieto fine, il dramma di Alcesti ruota intorno alle conseguenze di un parricidio, frutto di un imbroglio ordito da Medea, il che non esime la protagonista dall’essere ritenuta colpevole di una colpa che ricadrà inevitabilmente sui suoi figli.
La trama è nota. Alcesti era andata sposa ad Admeto, il re di Fere che Apollo era riuscito a convincere le Moire a risparmiare dalla morte, a condizione che qualcuno si sacrificasse al suo posto.





Destino a cui Alcesti, con un parricidio alle spalle e il conseguente irrisolvibile senso di colpa è ben felice di andare incontro, dato che né il vecchio padre, né la madre del sovrano, nè tantomeno i figli si sentono di affrontare.
Penserà ancora una volta Apollo, per mezzo di Eracle, a fornire il lieto fine, a convincere le Moire e a far tornare Alcesti dagli inferi .
Nell’adattamento di Filippo Renda e di Idiot Savant dell’Alcesti da Euripide al Teatro Litta, la scelta della protagonista assume carattere di eroismo. L’attenzione si concentra sul rapporto tra genitori e figli e sul concetto di “sacrificio” che, in giorni di pragmatismo esacerbato, sembra aver ormai perso qualsiasi significato o, quantomeno, qualsiasi riconoscimento o approvazione sociale.
Il regista si concentra sul conflitto generazionale che caratterizza la nostra epoca, che, specialmente nel decennio precedente a questo ha riservato ai più giovani momenti di acuto malessere. È perciò il risentimento nei confronti del padre che si è rifiutato, nonostante l’età avanzata, di prendere il posto del figlio, a occupare una parte significativa dello spettacolo.
Alcesti da Euripide al Teatro Litta: la donna condannata a vivere
(dal comunicato stampa)
È ampiamente risaputo che l’esperienza delle rappresentazioni tragiche, per gli ateniesi, avesse un triplice valore; si inseriva in un momento della storia, probabilmente il primo, nel quale l’uomo si scontrava con la fallacia del concetto di “libertà”. La libertà era stata conquistata dagli ateniesi grazie a un senso di responsabilità e partecipazione e le rappresentazioni teatrali erano un esempio di esperienza collettiva, come il rapporto all’interno della tragedia tra eroe e coro riproduce quello tra individuo e comunità, indispensabile per la vita pubblica.
La conquista sensazionale della libertà riservava ai membri della polis un rovescio della medaglia che è il concetto stesso di tragico: la libera scelta tra due vie è solo un inganno, nessun individuo è libero di impedire alla propria vita di compiersi.
L’arte tragica diviene dunque una ritualizzazione che oggettiva il mistero del fallimento, della rovina, della condanna al di fuori della colpa.
L’esperienza della tragedia greca era quindi molto lontana dal valore che oggi, in occidente, diamo a qualsiasi forma di rappresentazione: non si assisteva a uno spettacolo, ma si partecipava a un rito nel quale il mito era la storia sacra del popolo. Contemporaneamente la tragedia era un fatto politico, che rinnovava l’approccio attivo di ogni cittadino alla vita pubblica. Infine le tragedie erano una gara, un evento agonistico non per alimentare ma per dare sfogo e sedare la competitività potenzialmente rovinosa insita nell’essere umano.
Nella tragedia forma e contenuto si intrecciavano quindi per rappresentare quel senso tragico che sostenesse i cittadini nelle paure generate dall’angoscia di un futuro imprevedibile, esorcizzando il senso precario della vita. Per questi motivi lo spettatore non deve concentrarsi sull’intreccio della trama o sui simboli in essa contenuti: il pubblico conosce il finale già dall’inizio del dramma, sa che l’eroe andrà incontro alla rovina e al fallimento e si aspetta che egli provi a impugnare la propria vita, accettando, ma non subendo il proprio destino. L’attitudine con cui l’eroe affronterà questa funzione e i modi in cui accetterà il proprio destino tragico diventano infine il centro del dramma.
Nell’Alcesti da Euripide al Teatro Litta, il dramma di Alcesti era chiaro agli ateniesi: si era macchiata di parricidio, e anche se il suo delitto era stato frutto di un inganno combinatole da Medea, la peliade, avendo compiuto materialmente l’omicidio, era ugualmente colpevole. Di fronte alla possibilità e alla volontà di pagare per una colpa che avrebbero ereditato anche i suoi figli, Alcesti era stata convinta a sposare Admeto e a trasferirsi nella sua reggia. È questo l’antefatto necessario a comprendere il percorso della protagonista del dramma, e il suo tentativo di liberarsi da una colpa che la schiaccia. Ma il destino condannerà Alcesti a vivere e ad accettare il proprio trauma.
ALCESTI – UNA DONNA
da Euripide – una riscrittura di Filippo Renda – regia Filippo Renda
Milano, Teatro Litta, dal 18 al 28 novembre 2021
con Beppe Salmetti, Filippo Renda, Irene Serini, Luca Oldani
scene e costumi Eleonora Rossi suono Dario Costa – luci Fulvio Melli
consulenza scientifica Maddalena Giovannelli – Fotografia manifesto Sara Meliti
direttore di produzione Elisa Mondadori
Per maggiori informazioni: Manifatture Teatrali Milanesi