Qualsiasi cosa, purché crei scalpore. Questo è Maurizio Cattelan, molto bravo in quello che fa. La ripetizione delle situazioni di dissenso allo svelamento di ogni sua opera, specialmente da parte della componente più reazionaria della società, impone ogni volta agli stessi denigratori dell’artista, vittime di un cortocircuito concettuale, di entrare a far parte dell’opera presentata (di Cristina Risciglione e Renato Corpaci).

Nel 2004, a distanza di sole quarantotto ore dall’installazione commissionata dalla Fondazione Trussardi, un uomo scalò con un seghetto l’albero (Quercus rubra) di Piazza XXIV Maggio a Milano, per liberare i tre bambini appesi – ma sarebbe più aderente all’impressione prodotta dall’opera dire “impiccati” – alla quercia centenaria per stigmatizzare nell’opera di Maurizio Cattelan, la condizione infantile, a livello internazionale e nel nostro paese e il futuro incerto riservato alle nuove generazioni.
Il nostro è un mondo di paradossi, di profonde contraddizioni (in senso politico, sociale, economico, ambientale…), perciò non è difficile trovare un concetto, un principio, un’istituzione da scardinare, da esporre al pubblico ludibrio, allo scherno generale.
Dal 15 luglio 2021, fino al 20 febbraio 2022, superato lo spazio dello “Shed” di Hangar Bicocca, si penetra nell’oscurità della “Piazza” per assistere al sonno letargico di una donna rannicchiata con un cane a fianco.
Risaltano le dimensioni ridotte e l’abbagliante nitore dell’opera in marmo di Carrara, in rapporto all’oscurità e all’ambiente ciclopico dell’ex edificio industriale.






Addentrandosi nell’atmosfera espansa delle “Navate”, man mano che la vista si adatta alla luminosità ridotta, si notano centinaia di piccioni imbalsamati, appollaiati alle strutture orizzontali, replica dell’opera presentata dall’artista padovano alla Biennale di Venezia 1997, adattata all’ambiente del Pirelli Hangar Bicocca.
Superato lo spazio delle “Navate”, si accede al “Cubo”, per rivivere lo sconcerto di quell’11 settembre 2001 di fronte a un monolite nero attraversato dalla forma affusolata di un Boing, anch’esso nero. È un’allusione all’evento che, da allora, ha cambiato radicalmente la vita – bene o male – di ogni abitante del pianeta.
“Breath Ghosts Blind”, respiro, fantasmi, cieco. «Il ciclo della vita, dalla nascita alla morte» (Maurizio Cattelan)
Per chi si fosse aspettato di rimanere ancora una volta spiazzato dall’opera di Cattelan, è una sorpresa velata di delusione. È pur sempre una sorpresa.
L’imponente volume dello spazio espositivo, induce di primo acchito il visitatore a domandarsi se in questa mostra sia prevalente il senso di vuoto creato dai volumi rispetto allo scarno contenuto delle opere.
Certo, l’immagine finale, di gran lunga la più evocativa, a reminiscenza della ferita dell’11 settembre, il monolite nero che si erge all’interno del Cubo, trafitto da quella forma aerodinamica, anch’essa nera, ricorda certi riti ancestrali oggetto di studio in Antropologia culturale.
Si reitera una rappresentazione di un evento che ha colpito la comunità per diversi motivi: per stigmatizzarne la portata e, allo stesso tempo, per commemorare la tragedia in comunione con i propri simili, per rievocare come fosse il mondo prima dell’evento, per compiacersi di non essere, direttamente o indirettamente, nel novero delle vittime… Col tempo, la reiterazione diventa rito.
In questo, il monolite di Cattelan, intitolato “Blind”, non è molto diverso dalla rappresentazione del Golgota, diciamo, nella Cappella degli Scrovegni.
Nel 2019, nel momento di disfare la mostra Victory is Not an Option a Blenheim Palace la residenza barocca a Woodstock, Oxfordshire, Inghilterra, la controversa opera di Cattelan America – consistente in una toilette dorata – sparì misteriosamente, lasciando dietro di sé una serie di sospetti e di dubbi.
Poco dopo, comparve un annuncio pubblicitario in cui, un ridente Cattelan appare nudo, con la celebre Toilette dorata sotto il braccio ad opera del fotografo Oliviero Toscani, nell’ambito di una campagna delle Assicurazioni Generali, sotto il titolo: “Great Artists Steal”.
Non si ripeterà questa volta. Troppo pesante la prima opera; troppo voluminosa la terza; troppo numerosi i piccioni che osservano immobili i visitatori passare sgomenti dalla prima opera alla terza.