Posta sulla penisola dell’Olgiasca, di fronte a Gravedona sulla punta estrema del ramo di Lecco, l’Abbazia di Piona, costituisce un tipico esempio dell’architettura romanica in Lombardia (di Cristina Risciglione e Renato Corpaci)

La strada che da Lecco porta a Colico ha rivestito una funzione strategica per gli eserciti che si sono susseguiti nei secoli a conquista del nostro paese, dalle bande Celtiche tra l’VIII e il VI sec. a.C., all’esercito nazista in rotta verso la Svizzera nel secolo scorso.
La posizione dell’oratorio di Santa Giustina, eretto dal vescovo Agrippino intorno al 700-800 d.C. e, successivamente, della chiesa intitolata alla Vergine che lo sostituì intorno al 1138 (poi dedicata a San Nicolò nel 1169), protesse da un facile saccheggio le comunità monastiche che vi risiedettero. Posizionata sul versante nordoccidentale della penisola dell’Olgiasca che come il pollice di una mano si protende nel lago, configurando l’insenatura/Laghetto di Piona, la chiesa non è visibile dalla strada.
Il rudere dell’abside della chiesa primitiva, che ancora giace poco discosto, e l’iscrizione sul cippo posto nel chiostro dell’attuale chiesa di San Nicola ne testimoniano la passata esistenza.
















A quei tempi, e fino a oltre l’età barocca, i figli cadetti e le femmine che non si maritavano delle famiglie nobili e facoltose, vedevano come uniche possibilità per il loro futuro la vita militare o la carriera ecclesiastica. Per i monasteri venivano scelti siti panoramici e suggestivi e spesso le mura dei conventi nascondevano una vita tutt’altro che votata alla penitenza o all’ascesi.
Intorno all’anno 1100, il manso, (il complesso minimo di sostanza patrimoniale sufficiente al mantenimento o al funzionamento di un determinato ente ecclesiastico) costituito dal colle dell’Olgiasca, fu accordato così alla comunità di monaci benedettini, che vi eressero la chiesa e il chiostro quadrato, in pietra squadrata a vista, in stile romanico lombardo con le influenze del gotico francese tipiche delle dimore della congregazione cluniacense.
L’interno
L’Abbazia di Piona, non grande, a navata unica, lunga circa 20 metri e larga circa 8, con un soffitto piano con travi e assito in legno, è il risultato dell’allungamento subito intorno al 1100. Orientata sull’asse Est-Ovest, riceve luce da finestre strombate disposte su entrambi i lati.
Un arcone separa l’aula dal soffitto a botte del presbiterio e un secondo, minore, separa il presbiterio dall’abside, in un gioco di prospettive che concentra l’attenzione dei fedeli sul soggetto degli affreschi.
Pregevole il contrasto, entrando in chiesa, tra la sobria incombenza della pietra con il colore dell’abside affrescata nella volta con un Cristo Pantocràtore circoscritto in una mandorla, ahimè quasi illeggibile. Al livello sottostante, sono dipinti gli Apostoli in postura solenne, vagamente orientaleggiante (XII-XIII secolo).
Così come, attraverso una porta collocata alla destra della facciata della chiesa, è bello penetrare nel chiostro, romboidale più che quadrangolare, pendente e con un lato sopraelevato di pochi scalini. Fu fatto edificare da Bonaccorso de Canova da Gravedona, priore di Piona nel 1252 e terminato nel 1257. Attraverso la serie di archetti sormontati da capitelli gotici che si susseguono lungo il perimetro della parte centrale scoperta, si intravede il tronco e le fronde di un maestoso castagno secolare, cresciuto nell’angolo Sud-est, che conferisce per contrasto all’ambiente un aspetto più intimo e raccolto.
Sulle pareti del chiostro, i frammenti di alcuni affreschi, tra i quali un almanacco che illustra le attività cicliche a scadenza della vita agricola e un altro dipinto che mostra San Benedetto, fondatore dell’ordine monastico, in fuga dalle tentazioni impersonate da una dama elegante.
All’esterno dell’abside, gli abituali archetti ornamentali – qui più pronunciati che sull’abside dell’Abbazia di San Benedetto in Valperlana – si ripetono sui prospetti laterali e sotto gli spioventi nella facciata.
Epilogo
Il campanile a base quadrata protegge il chiostero dai venti settentrionali. Sostituisce una torre campanaria a base ottagonale, come quello di Santa Maria del Tiglio a Gravedona, posizionata sul lato opposto della chiesa.
Dopo un momento di splendore, l’Abbazia di Piona subì il destino comune ai seguaci di San Benedetto e dell’ordine cluniacense. Cedette progressivamente residenze e autorevolezza all’ordine concorrente, la congregazione cistercense di Bernardo di Chiaravalle, ispirata a un ideale di povertà e di maggiore austerità. Dopo un lungo, secolare declino nelle vocazioni e nelle donazioni, nel 1798 l’immobile finì in mani private.
L’ultimo proprietario restituì però il monastero restaurato nel 1938 ai monaci cistercensi, in memoria di un congiunto perito durante la guerra d’Etiopia.