Il Santuario della Beata Vergine del Soccorso si trova a mezza costa, a 420 m/slm al limite della frazione di Ossuccio, comune di Tremezzina (CO), all’imbocco della Val Perlana (di Cristina Risciglione e Renato Corpaci)

Vi si giunge al termine di un percorso scandito da 14 cappelle votive baroccheggianti, realizzate tra il 1635 e il 1710, decorate con 230 statue policrome di figure umane in terracotta e stucco a grandezza naturale e con affreschi ad opera dei pittori Carlo Gaffuri, Francesco Innocente Torriani e Paolo Recchi, che rappresentano brani salienti della passione di Cristo e della Madonna ricordati nei misteri del rosario (il 15° mistero è raffigurato in Santuario) dedicate ai Misteri Gaudiosi (Annunciazione, Visitazione, Presentazione al Tempio, Disputa di Gesù nel Tempio con i dottori della Chiesa), Dolorosi (Orazione nell’Orto, Flagellazione, Incoronazione di Spine, Salita al Calvario, Crocifissione) e Gloriosi (Resurrezione, Ascensione, Discesa dello Spirito Santo, Assunzione di Maria, Incoronazione di Maria).
L’artista stuccatore Agostino Silva, di Morbio (1620-1706), autore di gran parte delle opere, mette in risalto la perizia della Scuola d’Intelvi in questo settore, attiva a Como, Assisi e a Urbino, e nelle cappelle del Sacro Monte di Varese.
Percorso monumentale e Santuario costituiscono insieme il Sacro Monte di Ossuccio, parte integrante di quel circuito inserito – insieme ai complessi piemontesi di Belmonte, Crea, Domodossola, Ghiffa, Oropa, Orta, Varallo e a quello lombardo di Varese – nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO.
























Una concentrazione di simili architetture nell’Italia Nord-occidentale tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento, riflette i concetti elaborati nel corso del concilio di Trento (1545-63) che fissa il dogma cattolico nei principi tradizionali che il protestantesimo aveva rinnegato, e quindi invita a ripercorrere con devota pertinacia i luoghi della vita, della passione e della gloria di Cristo.
Attraverso l’arte rappresentata in queste cappelle, gli uomini e i loro costumi, possiamo rivedere un mondo, un periodo storico – oggi si direbbe “l’air du temps” – chiarendo anche il concetto del Bene e del Male, in collegamento con l’imperscrutabile equilibrio della natura.
Il progetto di un percorso di alta valenza artistico-devozionale, in ottemperanza ai dettami del Secondo Concilio di Nicea (787) sulle immagini sacre e al testo Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae che s. Carlo Borromeo pubblicò nel 1577 sull’architettura sacra, integrato in un paesaggio altamente suggestivo, si prefigge di stimolare, mediante la recitazione del rosario, la meditazione e la riflessione sui valori e sui dogmi della fede cattolica.
ESTERNO
Al termine della Via Sacra, il Santuario della Beata Vergine del Soccorso contiene l’ultima stazione dei Misteri Gloriosi, rappresentato dalle statue lignee dell’altarmaggiore.
Il progetto e la realizzazione del Santuario si deve specialmente alla pervicacia di due uomini: Frate Lorenzo Selenato, terziario francescano promotore della costruzione e Frate Timoteo Snider, responsabile della fabbriceria. La chiesa è preceduta da un ampio portico che ha la funzione di riparo per i viandanti di passaggio, ma l’ingresso al tempio è assicurato da una porta laterale.
Il campanile venne ultimato nel 1719 su un progetto dell’architetto ticinese Giuseppe Battista Bianchi. Vi si accede dall’interno della chiesa, a destra dell’altarmaggiore. A differenza della chiesa, le cui pareti esterne sono intonacate e tinteggiate, il campanile è costruito con pietre di Moltrasio a vista.
Orientato sull’asse Est-Ovest, il Santuario della Beata Vergine del Soccorso è stato edificato a più riprese tra il Cinquecento e il Settecento, a partire dalla costruzione originaria che deve la sua genesi tra il 1501 e il 1537, a sua volta su un precedente edificio di culto di età romana dedicato a Cerere. Questo primo edificio, fu eretto per venerare una statua in marmo del XIV secolo della Vergine, ritenuta miracolosa. La tradizione vorrebbe che fosse stata trovata abbandonata nella boscaglia da una pastorella sordomuta che in seguito riacquistò entrambi i sensi.
L’esterno dell’edificio, sobrio, essenziale, esteticamente insignificante, concorre alla sorpresa che coglie il visitatore che si avventura all’interno della chiesa.
INTERNO
La navata unica è un’esplosione di decorazioni. Le tre campate della volta a botte sono valorizzate dagli affreschi di Salvatore Pozzi, dedicati alla Vergine (l’Incoronazione della Vergine, l’Assunzione, e figure di Angeli con cartigli e di Angeli musicanti). Il pavimento bicromo in marmo bianco di Musso e nero di Varenna, risale al 1655. L’altare si trova all’interno dell’abside poligonale ed è sovrastato da un tempietto in marmo policromo, contenente un gruppo di statue lignee del 1896, ad opera di Pellegrino Vecchi, che rappresentano l’ultimo dei Misteri Gloriosi: l’Incoronazione di Maria.
A sinistra dell’altarmaggiore, si apre un piccolo atrio le cui pareti espongono numerosi ex-voto, alcuni sei-settecenteschi, seguito dalla Cappella dedicata alla Beata Vergine del Soccorso, che conserva, dietro a un’altare, in una nicchia e sopra un tronetto (1843) realizzato da Biagio Magistretti, la scultura del Trecento lombardo in marmo di Musso della Madonna in maestà col Bambino. Il sottostante tabernacolo ligneo è di autore ignoto della fine seicento.
Nella parete di sinistra dell’aula, incastonato in un’altare in marmo nero, un affresco risalente al 1501 in cui sono rappresentate la Vergine col Bambino e S. Eufemia. Questa era, probabilmente, l’ubicazione anche dell’altarmaggiore nella chiesetta originaria.
Di fronte (parete destra), dedicata a San Giuseppe, una pala d’altare (1890) di Francesco Grandi proveniente dalla basilica di San Pietro.
Ritornati all’esterno del Santuario della Beata Vergine del Soccorso, non si può esimersi dall’ammirare il meraviglioso paesaggio, col lago e l’Isola Comacina. Proseguendo sul sentiero che passa a sinistra del Santuario e si addentra in Val Perlana, si giunge all’Abbazia di San Benedetto, di cui abbiamo già detto.