Gianni Berengo Gardin
Come in uno specchio

Esposizione di foto di Gianni Berengo Gardin COME IN UNO SPECCHIO alla Galleria Forma Meravigli. Una delle mostre milanesi che hanno avuto l’immeritata sfortuna di incappare nel “coprifuoco” dettato dalla paura del contagio da Covid19. Ora prorogata oltre il termine del 5 aprile, forse fino a oltre Pasqua.

In vaporetto. Venezia, 1960 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma

Si tratta di una frazione delle 250 stampe esposte al Palazzo delle Esposizioni di Roma (19 maggio – 28 agosto 2016) sotto il titolo di Vera fotografia. È un progetto che, ripercorrendo la lunga carriera di Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930), abbina le sue fotografie a testi d’autore. Curato da Alessandra Mammì e Alessandra Mauro, prodotto da Contrasto in collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia, rappresenta un omaggio al fotografo ligure-veneziano, riproposto nella sua città d’adozione, Milano, nell’anno del suo novantesimo compleanno.

Il titolo della rassegna è stato estrapolato dal commento di Mimmo Palladino che ha voluto contrapporre la fotografia Venezia, 1960. In vaporetto al film Come in uno specchio di Ingmar Bergman.

«Quanto lontana sembra questa fotografia dall’enigma di Bergman» scrive l’artista.

Eppure l’immagine, che cattura, in un impossibile ordine, nell’attimo della condivisione della corsa, la provvisorietà e la pluralità di destinazioni dei passeggeri, contiene in potenza lo scisma che si consuma durante le fermate dell’imbarcazione; esattamente come la pellicola del maestro del cinema svedese coltiva, in maniera assai più drammatica e progressiva, la scissione che si consuma nel finale del film.

Ciascuna delle fotografie esposte è accompagnata dal testo del personaggio che ha scelto di parlarne, traendola dall’archivio della più che cinquantennale carriera del fotografo.

Il testo di Marco Magnifico sembra essere premonitore della situazione del momento: «I saggi ce l’avevano detto (e in tutte le salse) che prima o poi sarebbe finita… ma chi ci credeva alla favola della fine del mondo!» Invece parla del reportage storico (Venezia 2013-2015) sulle grandi navi, «dei bastimenti – scrive anche Lea Vergine – che violentano gli spazi della divina città […] Una gelida seduzione che parla di morte.»

Gli interventi di Giovanna Calvenzi e di Ferdinando Scianna, durante la presentazione alla stampa, hanno sottolineato l’importanza di questo maestro della fotografia che ha documentato momenti fondamentali della vita del nostro paese con grande intuito, con occhio attento, con gusto impeccabile e con occasionale ironia (vedi video).

«Quando chiamiamo “Maestro” il Berengo – scrive Calvenzi – siamo ancora lontani dal definire le sue qualità.»

«Io trovo che tutte le foto di Gianni – spiega l’amico Ferdinando Scianna – mostrino un Berengo Gardin “un po’ diverso dal solito”.»

«Le sue narrazioni – cito dal commento di Vittorio Gregotti (recentemente vittima, purtroppo, del Covid19) – sono fedeli all’idea di specificità del mezzo senza alcun tradimento nei suoi confronti né in quello dei racconti che ci comunica. È un modo di lavorare che anch’io cerco di utilizzare quando faccio architettura.» Nell’immagine, Venezia, 1960, i portici di Piazza San Marco irrompono in diagonale dal bordo superiore dell’istantanea in cui una donna in corsa occupa il centro dell’immagine circondata da un volo di piccioni.

«L’immagine fotografica – scrive Alfredo Pirri – bacia la realtà infondendole la vita rendendoci partecipi della sua verità immutabilmente viva, energicamente eterna.»

La mostra non è, in fondo, che una sfaccettatura di verità colte nell’istante in cui si palesano, tutte diverse perché conformi all’individualità del soggetto. La strada milanese taglia in diagonale sotto il cavalcavia della ferrovia (Milano 1959) e guida verso casa due studentesse ignare di essere ormai giunte all’angolo inferiore destro della composizione, mentre in alto a sinistra, in direzione opposta, altrettanto inconsapevole della propria collocazione, il ferroviere si affaccia dal finestrino quadrato della motrice.

«Questa immagine non dice semplicemente di un fotografo che è stato nel momento giusto nel posto giusto – scrive Maurizio Maggiani della foto che ha registrato il magico momento della presenza del poeta Giuseppe Ungaretti alla manifestazione veneziana contro la Biennale del 1968 – no, dice di più, parla di un uomo che sa di più del suo mestiere, che sa qualcosa di più anche di chi è lì. Un uomo in intimità con il suo soggetto.»

Un altro scisma: la disintegrazione del Terzo Stato, insita nella foto (Bari 1987), che il sociologo Domenico Masi vede nella marcia disordinata di un gruppo di operai verso un impianto industriale all’orizzonte.

Su un’altra parete, una gradinata di un antico palazzo malandato (Oriolo Romano, Lazio 1965), distribuito sui gradini, «sugli spalti come di un teatro greco» un publico d’inquilini. «C’è qualche cosa che passa, nella domenica del villagio – scrive Michele Smargiassi – forse una processione, forse lo struscio, forse solo il tempo.» Berengo ha la prontezza di spirito di voltare le spalle allo spettacolo e riprendere invece il publico. Una decisione fondamentale.

Un altro architetto (Stefano Boeri) ha scelto di parlare di una foto raffigurante una strada (Toscana 1965) che procede a zig zag tra sporadici cipressi. Una coppia si accinge a coprire la distanza che porta all’orizzonte. «Le sue – scrive – sono immagini/mondo perché vivono da sole […] Hanno la grazia di qualcosa che sembra esserci sempre stato.»

Il volume di 76 pagine che accompagna la mostra contiene in ogni doppia una fotografia con testo a fronte. In fondo, una timeline professionale per immagini. Per finire, la biografia del fotografo. Chiude la pubblicazione la bibliografia essenziale (€9,90)

Gianni Berengo Gardin COME IN UNO SPECCHIO
a cura di Alessandra Mammì e Alessandra Mauro
Milano, Galleria Forma Meravigli
Chiusura prorogata oltre il 5 aprile

Per maggiori informazioni: Galleria Forma Meravigli

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