Sorta sulle rovine della città di Aquilonia distrutta dai Romani durante la conquista del Sannio, a 830 metri d’altitudine, Agnone, borgo dell’Alto Molise al confine con l’Abruzzo, gode di un clima rigido d’Inverno ma temperato d’Estate (di Renato Corpaci).

La sua storia risale all’epoca dei Sanniti, vissuti in quest’area tra il Settimo Secolo a.C. e i primi secoli del Primo Millennio, un popolo orgoglioso che diede parecchio filo da torcere a Roma.
Importante reperto, riferito alla cultura sannitica, ritrovato nel 1848, durante l’aratura di un campo, tra il comune di Agnone e Capracotta, fu scoperta la tavola Osca, un documento del terzo secolo a.C. recante un’iscrizione in lingua sannitica. La notizia del ritrovamento arrivò alle orecchie di Theodor Mommsen, che studiò il reperto, come testimonianza della lingua italica nel Sannio. Oggi è conservata al British Museum di Londra a cui è stata venduta nel 1873 dal legittimo proprietario.
Intorno al 1100 d.C., il castello di Agnone spiccava per la sua importanza nel feudo dei Borrello, situato tra l’Abruzzo meridionale e il Molise settentrionale.

A riprova dell’importanza della famiglia Borrello – conti di Pietrabbondante e capitani di ventura di Venezia – nell’anno 1000, ad Agnone, fu fondata, anche l’antichissima Fonderia Pontificia Marinelli, che è l’azienda a conduzione familiare più antica d’Europa, tuttora in funzione.











I monumenti più importanti di Agnone sono le chiese: quella di Sant’Emiddio del 1096, che sfoggia un magnifico portale gotico; quella di San Francesco del 1343, l’edificio religioso più grande della città; mentre a fianco del Belvedere, si trova la chiesa di San Marco del 1114, a testimonianza della presenza veneziana in Agnone.
La ‘Ndoccia (fonema dialettale che sta per ”grande torcia”) faceva parte probabilmente della ritualità pagana legata alla scadenza del solstizio d’inverno, il 21 dicembre.
Come i popoli indoeuropei, dalla Persia alla Normandia, dalla Russia al Galles, gli antichi abitatori dell’Europa e del vicino Oriente, anche gli Osci e i Sanniti, antenati degli attuali abitanti di Agnone, erano legati al fuoco, alla sua simbologia, e alla ritualità che si è evoluta nei secoli nella ‘Ndocciata, il rito dedicato al sole ed al suo ciclo annuale, fatto proprio dal cristianesimo e divenuto per questo fuoco in onore al Dio che nasce, al Cristo Luce e Salvatore del mondo.
Portare la ‘ndoccia, per i più piccoli, corrisponde a un rito di iniziazione. Crescendo diventa un segno di virilità da ostentare magari di fronte alla donna che si vorrebbe conquistare o, più avanti, di rispettabilità davanti alla comunità. Per i più anziani è un modo di restare in contatto con la propria passata prestanza, con la famiglia e con gli amici.









Oggi come un tempo, le ‘ndocce, misurano oltre tre metri. Assemblate assumono una forma a ventaglio o a raggiera. Tranne che per i pià piccoli e per i più anziani, che portano una .doccia singola, si tratta per lo più di torce multiple, di numero pari, variabile da due fino a oltre venti fuochi. Vengono trasportate da uno o due portatori in costume tradizionale, con la caratteristica cappa utilizzata soprattutto dai pastori, tagliata a ruota con il bavero alto, agganciato al collo e di colore nero.
L’essenza utilizzata per la fabbricazione delle ‘Ndocce è l’abete bianco, reperito quasi esclusivamente nella foresta di Montecastelbarone. I tronchi degli alberi individuati dagli agenti del Corpo Forestale dello Stato tra quelli malati, abbattuti da calamità naturali o secchi, vengono privati della corteccia e tagliati in sottili listelli di circa un metro e mezzo di lunghezza, legati tra loro a mazzo e sovrapposti fino a raggiungere l’altezza desiderata. Questi fasci di listelli vengono integrati con steli secchi di ginestra, che infiammano la ‘Ndoccia caratterizzando il rituale anche sonoramente con il loro crepitìo.
Appartenenti alle contrade rurali di Agnone – Sant’Onofrio, Capammonde e Capaballe, Colle Sente, Guastra e San Quirico – gli uomini si sfidano per la conquista del trofeo artistico dello ‘Ndocciatore, realizzato dallo scultore Ruggiero Di Lollo.
Il segnale per l’accensione delle gigantesche torce è dato dal rintocco della campana più grande di Agnone, posta sul campanile di Sant’Antonio, il più alto della città. Davanti al corteo procedono gli stendardi e le scene di vita contadina animate soprattutto da donne, bambini e animali. I portatori col fuoco sono rigorosamente uomini. Davanti i bambini con ‘ndocce singole, più piccole, seguono gli adulti, con ‘ndocce multiple, sempre più grandi. Il corteo si stende lungo la principale Via Marconi, proiettando una lingua di fuoco lungo l’antico decumano della città.
Al termine del percorso, le ‘ndocce vengono scaricate ardenti ad alimentare un grande falò, sorvegliato dai vigili del fuoco, intorno al quale gli spettatori si assiepano, fino alla sua estinzione.
Per maggiori informazioni:
Pro loco di Agnone