Anfitrione

Il Teatro Manzoni presenta Anfitrione, commedia di Plauto tra le più celebri, che ha lasciato ben due parole legate per antonomasia ai personaggi al nome dei quali corrispondono (di Renato Corpaci)

Antonio Catania e Barbora Bobulova nei panni di Anfitrione e di Alcmena
Antonio Catania e Barbora Bobulova nei panni di Anfitrione e di Alcmena

Anfitrione è il nome di un personaggio della mitologia greca sulla cui aggrovigliata vicenda sarebbe qui troppo lungo elaborare. A una parte di questa complicata storia il commediografo romano Plauto (circa 250 a.C. – 184 a.C.) si è ispirato per scrivere una delle commedie classiche più divertenti e longeve della storia del teatro.

Per descrivere sinteticamente la trama della piece, vale la pena citare integralmente il prologo della commedia plautina.

«Giove, preso d’amore per Alcmena, ha assunto le sembianze del marito di lei, Anfitrione, mentre costui combatte contro i nemici della patria. Gli dà manforte Mercurio, travestito da Sosia; egli si prende gioco, al loro ritorno, del servo e del padrone. Anfitrione fa una scenata alla moglie; e i due rivali si danno l’un l’altro dell’adultero. Blefarone preso come arbitro, non può decidere quale dei due sia Anfitrione. Poi si scopre tutto; Alcmena dà alla luce due gemelli.»

Definita da Plauto “tragicommedia” – la commedia riguardava personaggi mortali, la tragedia raccontava vicende divine – a metà strada, quindi, tra tragedia e commedia, l’opera ha visto nel corso dei secoli, diverse riscritture, tra le più celebri, quelle di Hoffmannsthal, di Kleist e di Moliére. A quest’ultimo di deve se “anfitrione” sia divenuto, per antonomasia, definizione di “ospitale padrone di casa”. In una battuta pronunciata da Sosia, nella confusione tra il vero e il falso Anfitrione, Sosia dichiara che il vero è quello «presso cui si cena».

In questo caso, la riscrittura di Sergio Pierattini, elimina il personaggio di Blefarone (in parte sostituito dalla serva Bromia – Valeria Angelozzi) e cala la trama originale ai nostri giorni.

La notte buia e senza luna e si protrae ben oltre il suo normale corso, anche il satellite della Terra è nascosto per celare le macchinazioni del padre degli dei. Anfitrione (Antonio Catania) è un politico populista miracolato, di ritorno da Roma dove ha appena vinto le elezioni e prevede di diventare Primo Ministro. Lo precede l’autista-portaborse Sosia (Giovanni Esposito) che cerca di entrare in casa per annunciare la vittoria alla moglie del capo. Gli sbarra la strada Mercurio (Valerio Santoro). Il messaggero degli dei pretende di essere lui lo stesso Sosia e accusa l’autista di essere un impostore, Tutto questo, per coprire Giove (Gigio Alberti) che, sotto le sembianze di Anfitrione, sta consumando una notte d’amore con Alcmena (Barbora Bobulova), insegnante di scuola secondaria e moglie dell’uomo politico, di cui il dio è pazzamente innamorato.

Commedia degli equivoci ante litteram, il primo malinteso nasce dal fatto che il vero Anfitrione, ignorante e un po’ cafone, pensa di venire accolto da vincitore dalla moglie Alcmena che, perfettamente appagata dalle prestazioni amatorie di Giove, romantico e passionale, elegante, colto, tutto quello che il marito non è, soccombe a una profonda confusione quando, vedendo sopraggiungere il trionfatore delle elezioni con cui pensa di aver appena passato una notte di fuoco, viene investita dalle sue lamentele per non essere stato accolto con il dovuto calore.

Nell’interpretazione della bravissima Bobulova, Alcmena è la vittima delle circostanze. Oggetto delle attenzioni di Giove, che si infila nel suo letto con uno stratagemma, se avesse avuto modo di sciegliere, forse avrebbe preferito unirsi ancora al suo imperfetto marito, l’uomo che ora l’accusa di adulterio.

Il malinteso si protrae, rinnovandosi fino alla fine della commedia, generando, anche grazie alla bravura degli attori, situazioni spassosissime che il pubblico sottolinea con prolungate, incontenibili risate.

Nell’attualizzare la trama della commedia, la sceneggiatura di Sergio Pierattini si interroga sulla natura del dio, applicandole una valenza psicanalitica di “doppio”, come una seconda possibilità per il protagonista. «Vedere in Giove – dice il regista Filippo Dini – quella parte di Anfitrione oscura, misteriosa, profonda. Con caratteristiche straordinarie, come un dio.»

L’ipotesi è che in noi ci possa essere una seconda personalità, migliore, ma sepolta nel profondo della nostra coscienza. Forse nient’altro che la persona a cui aspireremmo essere e che, quando esercitiamo seduzione, corteggiamo qualcuno – o cerchiamo di essere assunti, o… eletti – presentiamo a rappresentarci.

Questo essere ideale in seguito viene dimenticato, prima di tutto da noi stessi, quindi dalle persone che ci amano, che presto imparano ad accontentarsi del personaggio mediocre che si installa al posto suo.

Tuttavia, secondo l’autore della sceneggiatura e del regista, questa seconda personalità rimane dormiente in ciascuno di noi. Giove è questo. In certe circostanze, a nostra insaputa, si sostituisce a noi e fa credere ai nostri abituali interlocutori quanto potremmo essere migliori di quanto, in realtà, siamo.

Del quinto atto della commedia plautina non sono arrivati a noi che una cinquantina di versi. Nel finale della riscrittura di Pierattini, Anfitrione arringa folle immense in un improvvisato comizio in cui dichiara che, di tutti i guai che affliggono il Paese, è inutile cercare le cause negli eventi internazionali, nei fattori dell’economia e della politica, perché di tutto, in fondo, sono solo responsabili gli dei.

Trailer dello spettacolo al Teatro Manzoni

La scena di Laura Benzi e le luci di Pasquale Mari, allestiscono uno scenario vagamente postmoderno, estremamente piacevole da guardare, in cui gli attori – vestiti da Alessandro Lai ­– si muovono con disinvoltura ben accompagnati dalla musica di Arturo Annecchino, che discretamente sottolinea le fasi drammatiche della commedia.

La rappresentazione dell’Anfitrione segue la programmazione del pirandelliano Il berretto a sonagli, di cui si è detto in precedenza.

Anfitrione
di Sergio Pierattini (da Plauto)
con Gigio Alberti, Barbora Bobulova, Antonio Catania, Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Valeria Angelozzi
Regia di Filippo Dini
Milano – Teatro Manzoni
dal 31 ottobre al 17 novembre

Per maggiori informazioni: Teatro Manzoni

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