Il Berretto a Sonagli a Milano a cento anni dalla prima rappresentazione romana

Per la regia di Francesco Bellomo, approda finalmente al Teatro Manzoni di Milano, Il Berretto a Sonagli, di Luigi Pirandello, con Gianfranco Jannuzzo (Ciampa), Emanuela Muni (Beatrice) e una compagnia di bravi attori (di Renato Corpaci)

Gianfranco Jannuzzo nel ruolo di Ciampa

A centodue anni dal debutto romano del 1917, dopo le rappresentazioni di Roma, Mantova, Torino Agrigento e Cosenza (per citarne alcune, quelle che emergono dagli archivi), per la produzione di Francesco e Virginia Bellomo, prima di fare ritorno nella Capitale, approda finalmente al Teatro Manzoni di Milano, Il Berretto a Sonagli, di Luigi Pirandello, con Gianfranco Jannuzzo (Ciampa), Emanuela Muni (Beatrice), Alessio Di Clemente (Fifì), Rosario Petix (Commissario Spanò), Alessandra Ferrara (Fana), Carmen Di Marzo (Saracena) e la partecipazione di Anna Malvica nel ruolo della signora Assunta.

La storia de Il berretto a sonagli (originariamente A birritta cu’ i ciancianeddi) – scritta da Luigi Pirandello nel 1916 in siciliano, ma poi tradotto dallo stesso autore in italiano – ruota intorno a un adulterio. Quello perpetrato dal Cavaliere Fiorica (marito di Beatrice) e da Nina, moglie dello scrivano conosciuto solo per cognome: Ciampa. L’azione è palleggiata tra i due coniugi traditi, mentre il Cavaliere non compare mai e Nina non fa che una breve apparizione sul palcoscenico.

La trama vuole che la moglie tradita mediti di denunciare il marito (in età régia l’adulterio era un reato) e che per questo architetti un tranello che permetta al “delegato” (vicecommissario) Spanò di cogliere i due adulteri sul fatto.

Dramma in due atti

La coppia Ciampa vive in un alloggio adiacente l’ufficio del Cavalier Fiorica e da questo separato da una porta. Ciampa è un impiegato prezioso per la ditta e la moglie è una donna giovane e bella. Deve essere stata una tentazione irresistibile per il Cavaliere che ha sfruttato l’allure della posizione sociale e l’autorità derivante dal suo potere per conquistare Nina.

Emanuela Muni e Gianfranco Jannuzzo
Emanuela Muni e Gianfranco Jannuzzo sul palcoscenico de
Il berretto a sonagli

La gelosissima Beatrice viene a sapere della tresca dalla “Saracena” (Carmen Di Marzo), una rigattiera, «una donna insieme alla quale in questa città è meglio non farsi vedere», la quale ha assistito mentre la giovane adultera millantava il possesso di alcuni gioielli. La rigattiera soffia sul fuoco dell’orgoglio ferito, contro l’avviso della serva Fana che preferirebbe vedere la padrona assumere un atteggiamento più prudente.

Incassati i soldi di un prestito fatto al fratello Fifì, convocato Ciampa nel suo salotto, Beatrice gli chiede di recarsi a Palermo a riscattare certi preziosi. Allontanandolo, progetta di incoraggiare i due amanti a incontrarsi nell’intimità e dare così al poliziotto Spanò l’occasione per cogliere la coppia in flagrante.

Ciampa non è un ingenuo. Ha capito che la moglie lo tradisce, ma preferisce ignorare. Se la nozione del tradimento diventasse di pubblico dominio, sarebbe costretto ad uccidere Nina e magari anche il Cavaliere – in pieno vigore a quei tempi il delitto d’onore – lavando nel sangue l’offesa recata a sé e alla rispettabilità del “pupo” – il simulacro che, in una società perbenista, rappresenta la rispettabilità del singolo.

«La seria, la civile, la pazza»

Per convincere Beatrice a desistere dal proposito che sospetta stia covando, Ciampa fa appello alla razionalità ed espone la propria semplice filosofia di vita: «Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa.

(Con la mano destra chiusa come se tenesse tra l’indice e il pollice una chiavetta, fa l’atto di dare una mandata prima sulla tempia destra, poi in mezzo alla fronte, poi sulla tempia sinistra.)

La seria, la civile, la pazza.»

Jannuzzo, Malvica, Luni, Ferrara
Jannuzzo, Malvica, Luni, Ferrara

La corda civile consente di convivere pacificamente in società; alla seria si fa appello quando occorre chiarirsi con i propri simili; la pazza quando la situazione diventa insostenile, si perde il lume della ragione e si dicono e fanno cose… da pazzi.

Nel successivo colloquio con il delegato Spanò, amico di famiglia e quindi recalcitrante a portare avanti un’azione che scatenerà uno scandalo intorno alla figura del potente Cavalier Fiorica, Beatrice si accorda sulle modalità dell’intervento della polizia.

Atto secondo

Se il primo atto si chiude con la partenza di Ciampa per Palermo, il secondo si apre a cose fatte. Spanò, per non dover affrontare di persona quello che dopotutto è il suo benefattore, ha incaricato il collega Lo Gatto. La Polizia ha fatto irruzione e arrestato i due amanti. Non per l’adulterio ma, ufficialmente, perché il Cavaliere, vistosi circondato dagli agenti, ha dato in escandescenze ed è stato arrestato senza tanti complimenti dal Lo Gatto per oltraggio a pubblico ufficiale.

Gianfranco Jannuzzo, attore. Milano, ottobre 2019.

La famiglia di Beatrice – la madre, con il fratello e anche con la serva Fana – è sconvolta. Il delegato Spanò viene ritenuto responsabile per non essere stato capace di dissuadere Beatrice dai suoi propositi. In fondo, nella borsa del Cavaliere sono stati trovati due regali, inequivocabilmente destinati alla moglie e Beatrice comincia a rendersi conto dell’arbitrarietà, della portata e delle sproporzionate conseguenze della propria iniziativa.

Entra Ciampa, emaciato, lacero per una caduta, visibilmente provato. Quello che segue è un dialogo nel corso del quale lo scrivano si trasforma da un personaggio patetico al tionfatore della situazione. Il soggetto rivendica la propria dignità di uomo e di marito, ancorché tradito, e dimostra a Beatrice, di fronte alla madre signora Assunta, al delegato Spanò, al fratello Fifì e alla serva Fana, che esiste un solo modo per disinnescare lo scadalo, ed è quello di simulare la pazzia. Tutto può risolversi in una vacanza di tre mesi, se non in manicomio, in una «casa di salute», per buona pace del marito adultero, della moglie infedele, di Ciampa e della stessa Beatrice.

Sarà una cosa facile: «Basta che Lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza».

Emanuela Muni
Emanuela Muni, attrice, Milano, ottobre 2019.

Il Teatro del Grottesco

È Teatro del Grottesco. Il tragico si combina con il comico. Il mondo non è più che una caricatura di se stesso, sprofondato nell’assurdo di atteggiamenti puramente formali. I temi trattati ne Il Berretto a Sonagli, riguardano il retroscena di questa farsa: un malessere esistenziale, fatto di frustrazione, gelosia, orgoglio ferito, vizi privati e pubbliche virtù. Riguardano l’apparire e l’essere e il cortocircuito che risulta dall’inconciliabile scisma tra i due stati: l’alienazione e la pazzia.

Ciampa è, nella storia, un personaggio subalterno e come tale, pur non privo di una certa reputazione, è destinato a ingoiare bocconi amari e a sopportare compromessi e situazioni aberranti.

Gianfranco Jannuzzo
Gianfranco Jannuzzo, Ciampa

Così, pur avendo accesso, grazie alle proprie competenze professionali, alla frequentazione della classe superiore – accesso di fatto negato, se non nell’alcova, alla moglie Nina, una donna bella ma di intelligenza ed eleganza limitate – Ciampa è costretto a gestire questa precaria familiarità sul filo di una deferente diplomazia.

L’amore per la moglie lo incoraggia, pur di non perderla, a ignorare l’oltraggio del tradimento, limitandosi ad attuare palliativi espedienti: «Le sardine, sott’olio, le alici, sotto sale e la moglie… sotto chiave». Inoltre, la sua posizione di dipendenza dal Cavaliere, lo mette anche in una posizione di svantaggio economico.

Gli attori

Formato al Laboratorio di Esercitazioni Sceniche, diretto da Gigi Proietti, Gianfranco Jannuzzo (classe 1953) fa del personaggio di Ciampa – che, nel corso dei decenni è stato di Turi Ferro, Salvo Randone e, soprattutto di Eduardo (tra gli altri) – una figura romantica e tragica. «Un uomo innamorato della moglie al punto di accettare di condividerla con un altro uomo.» Un uomo oltraggiato dalla consapevolezza di essere stato lasciato ai margini di una vicende che, dopo tutto, lo riguarda in prima persona. Inoltre, comprende di essere stato considerato “dispensabile” due volte: dal principale, che non ha avuto scrupolo di sedurne la moglie, e dalla moglie di questi, che non si è peritata di comunicargli i propri propositi vendicativi. L’esito della commedia, che lo mostra vincente, burattinaio, questa volta, anziché burattino, è anche una rivincita rispetto al suo calpestato orgoglio.

Beatrice, impersonata da Emanuela Muni, è una donna intransigente, provocata, nella sua virulenta collera, dall’affronto di essere stata tradita praticamente in casa propria, data la vicinanza anche abitativa con la famiglia Ciampa, ed è sdegnata dall’atteggiamento del suo omologo, residuo vertice del quadrilatero coniugale: Ciampa. Si potrebbe definire femminista ante litteram. La donna avoca a sé il diritto di prendere decisioni devastanti, trascurando le conseguenze che queste avranno sulla famiglia, su Ciampa e anche sulla stessa Beatrice.

Nella messinscena de Il Berretto a Sonagli, di Francesco Bellomo, le figure del delegato Spanò (Rosario Petix) e della Signora Assunta (Anna Malvica) sono giocate sul filo di una vis comica che conferisce leggerezza al canovaccio di base.

Alessandra Ferrara, nei panni della serva Fana, e Alessio Clemente, nel ruolo di Fifì, sono eccellenti gregari di una compagnia di attori che corre affiatata e compatta, dietro alla stella di Jannuzzo, verso il traguardo del sipario finale.

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