Con la mostra su Giorgio de Chirico, Palazzo Reale presenta un grande pittore italiano moderno, il più riconoscibile, il più conosciuto e, allo stesso tempo, proprio per questo, il più trascurato, pur rientrando tra i “pezzi da novanta” dell’arte del Novecento italiano (a cura di Renato Corpaci).

L’esposizione segue le grandi mostre organizzate a Milano – una, retrospettiva, nel 1970, vivente, ottantaduenne, l’artista; l’altra, nell’87, proveniente da Verona, limitata però alla produzione degli anni ’20 – L’obiettivo della rassegna odierna, a distanza di cinquant’anni, è quello di permettere alle nuove generazioni di conoscere di prima mano, non solo attraverso le riproduzioni nei libri o su Internet, ma dal contatto fisico diretto, le opere di questo grande artista.
Inoltre, si cerca di sfatare un luogo comune molto diffuso, che vuole de Chirico soprattutto pittore della Metafisica, mentre il personaggio, nella sua lunga carriera, ha spaziato da genere a genere, sempre accompagnando le sue opere con una notevole dose d’ironia.
Curata da Luca Massimo Barbero, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, da Palazzo Reale, da Marsilio e da Electa, in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico e Barcor17 e con il supporto di M&G Investments, questa mostra s’inserisce in un ciclo di eventi organizzati da Palazzo Reale intorno ai grandi artisti del Novecento: Umberto Boccioni nel 2016; Carlo Carrà nel 2018; Giorgio De Chirico, oggi, nel 2019.













Inoltre, si ricollega ad altre recenti grandi mostre – Rubens, Dürer, Ingres, Picasso – nell’ambito di una riflessione che si propone di esplorare il ruolo del mito nella contemporaneità. Non poteva mancare in quest’ambito il pittore nato a Volos, in Tessaglia che più di tutti del mito ha fatto la propria cifra espressiva.
Il maestro fu per lungo tempo attivo a Milano. Questo fa ‘si che i suoi collezionisti più importanti si trovassero in questa città. Conseguentemente, sono numerose le istituzioni milanesi che hanno prestato le loro opere per questa esposizione monster, a partire dai musei civici: il Museo del Novecento, la Casa Museo Boschi di Stefano, la Pinacoteca di Brera e Villa Necchi Campiglio. Molte opere provengono poi da collezioni private e da importanti musei nazionali e internazionali, tra i quali la Tate Modern di Londra, il Metropolitan Museum di New York, il Centre Pompidou e il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (GNAM) di Roma, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, The Menil Collection di Huston e il MAC USP di San Paolo in Brasile.
Cento capolavori, suddivisi in otto sale con l’intenzione però di rappresentare, un unicum organico, un solo grande affresco dell’opera di De Chirico che vada oltre l’angusto ambito della Metafisica.
Come ha sottolineato Paolo Picozza – Presidente della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico – le opere sono presentate per accostamento.
«I dipinti esposti non seguono lo sterile ordine cronologico ma si accostano l’uno all’altro secondo un figurativo flusso di coscienza, che racconta la Stimmung dell’artista attraverso la sua genesi familiare, la sua rivelazione metafisica e il suo inesauribile esercizio maieutico da cui prendono forma i suoi spiriti, le sue piazze visionarie, i suoi gladiatori e i suoi endocentrici manichini».
(Paolo Picozza)












Per Luca Massimo Barbero, Giorgio de Chirico è l’Elephant in the room della pittura del suo tempo… «Ci sono due autori che hanno cambiato la visione della vita della pittura nel XX Secolo – dice – Uno è certamente Picasso, ma non esce mai dalla realtà: la ri-dipinge… De Chirico non lavora sulla realtà, De Chirico lavora sulla visione. E quello che vedrete sono visioni.»
Ebdómero, pseudonimo del pittore-scrittore
Purtroppo, quando ci si accosta a un quadro di de Chirico, lo si riconosce e lo si dà subito per scontato – per averlo visto riprodotto zilioni di volte sui libri, sulle riviste, su Instagram… L’occhio si allontana subito alla ricerca di qualcos’altro. Si dimentica che un quadro non è solo una figura, ma è fatto di un manto pigmentato disteso sulla tela dalla mano esercitata dell’artista. Non per niente si dice “pittura”.
Quella di de Chirico è un’arte senza tempo. I suoi quadri andrebbero osservati attentamente. Ma proprio il tempo non manca, perché il pittore è maestro nel ritrarre l’immobilità. Anche quando ritrae una veduta di Venezia, i gondolieri restano immobili. L’occhio allora vaga sulla tela, alla ricerca del particolare nascosto, che è lì, in piena luce, come un indizio. Nel quadro intitolato Ottobrata, un palazzo alle prime luci del giono sembra essere il soggetto principale. Poi ci si accorge che, vicino al margine inferiore della tela, alcuni uomini, a cavallo e a piedi, sembrano osservare una figura umana in cielo. Un altro uomo si allontana volando verso occidente.




Olio su tela, 149 x 147 cm. Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico
«Le tele di de Chirico – scrisse Jean Cocteau, citato nel catalogo – ostentano l’immobilità delle statue. La calma solenne degli incidenti che sono appena accaduti e mostrano i gesti, le smorfie della velocità sorpresa dal”immobilità senza aver avuto il tempo di mettersi in posa.»
I giovani dovrebbero correre a visitare questa mostra. Anche i meno giovani. Anzi, soprattutto! Non foss’altro perché potrebbero passare altri cinquant’anni prima che se ne organizzi un’altra.
de Chirico
a cura di Luca Massimo Barbero
Milano, Palazzo Reale
25 settembre 2019 – 19 gennaio 2020