Promosso e organizzato dalla Fondazione Palazzo Magnani, dal 12 aprile al 9 giugno 2019, Reggio Emilia ospita la XIV edizione di Fotografia Europea, che impegna alcuni degli spazi istituzionali più suggestivi della città e oltre 300 gallerie, associazioni, soggetti pubblici e privati, disseminati nel territorio cittadino e provinciale.
Concepito con la direzione artistica di Walter Guadagnini, il filo conduttore della rassegna è costituito dal tema “Legàmi”. Intimità, relazioni, nuovi mondi. Tutte le esposizioni in programma vertono su questo titolo, che permette infinite elaborazioni concettuali e visive.
A chi si volesse recare a Reggio Emilia per una visita di un giorno soltanto, segnaliamo le esposizioni “di più sicuro interesse”, formula che non esclude che, volendosi avventurare nel circuito Off, si possa incorrere in ritrovamenti e scoperte inaspettate che il percorso più prudente difficilmente potrebbe concedere.
È un po’ strano che le mostre di più forte richiamo per il pubblico, in una manifestazione dedicata alla fotografia europea, focalizzino l’attenzione del pubblico su due fotografi americani. Ma tant’è.
Palazzo Da Mosto
Reduce dalla doppia mostra – The Beats and The Vanities – all’Armani Silos di Milano nel 2017, Larry Fink ritorna in Italia con un’antologica, dal titolo Unbridled Curiosity, realizzata appositamente per questa occasione.
Il fotografo che cerca di trovare la dignità della persona, allo stesso tempo facendone emergere l’“anima” che vi si trova sepolta, per questa operazione si affida totalmente al caso. «La cosa più importante è l’esperienza e l’umanità che ci accomuna»
Féstine lente, potrebbe essere il suo motto – “Affrettati lentamente”, una locuzione latina attribuita all’Imperatore Augusto – legato al suo modo di lavorare, senza scattare a ripetizione. Ha imparato ad aspettare e a capire quando l’opportunità sta per presentarsi e a coglierla. A rischiare di coglierla, il che implica anche rischiare di perderla.
«Una ricerca [quella di Fink] che, declinata sul tema delle relazioni, dei “légami”, assume un ulteriore significato in un momento storico come quello attuale segnato […] dalla presenza ossessiva della tecnologia nella costruzione delle relazioni: merita, all’interno di questa selezione di Fink, vedere la costante presenza del contatto umano, dei gesti che uniscono i corpi nelle situazioni più varie, quasi a rispondere alla virtualizzazione della comunicazione odierna» (Walter Guadagnini)
L’allestimento della mostra di Reggio Emilia trova la più completa approvazione di Fink, al punto che il fotografo si senta «ispirato» dalle sue stesse fotografie. Il che, ammette, «È piuttosto strano».
Sono oltre 90, le immagini esposte a Palazzo Da Mosto, realizzate tra gli anni sessanta e oggi, selezionate per aderenza al tema della rassegna da Walter Gudagnini e dallo stesso fotografo. Fotografie in bianco e nero che colgono le persone nelle interazioni della loro vita. La macchina fotografica di Fink interviene in maniera spesso indiscreta, ma mai offensiva, a catturare gruppi di persone, apparentemente impreparate o spesso inconsapevoli di essere ritratte in quel momento.
Palazzo Magnani
Per i più conservatori amanti della fotografia, curata da Walter Guadagnini e realizzata in collaborazione con Horst Estate, USA e la galleria Paci Contemporary di Brescia, Palazzo Magnani dedica al fotografo tedesco, naturalizzato americano Horst P. Horst (Horst Paul Albert Bohrmann, 1906-1999) la mostra dal titolo A Beautiful Image.
Sono indubbiamente le immagini più potenti della manifestazione. Dimostrano come, dietro alla produzione di un fotografo conti profondamente la conoscenza della storia dell’arte; e qui, senza alcuna vanità o stupido orgoglio, affiora la superiorità della cultura europea rispetto a quella di Oltreoceano, anche se, senza la fluidità del mercato del lavoro americano, il talento e la preparazione difficilmente avrebbero potuto emergere a così alte vette.
Si tratta di mmagini che riservano una particolare attenzione all’aspetto estetico/artistico nel senso più classico. Veramente “belle”, come promette il titolo, includono gli scatti per «Vogue» e «Harper’s Bazaar» che dagli anni trenta agli anni cinquanta hanno reso il fotografo un protagonista a livello mondiale della fotografia di moda.
Sinagoga
Curata da Walter Guadagnini alla Sinagoga, la mostra di Vincenzo Castella, Urban Screens, espone alcune fotografie di grande formato (cm 180 x 226). L’illuminazione precisamente focalizzata sui di esse, conferisce un’impressione di retroilluminazione che è puramente apparente.
«La natura composta che viene posta sotto i nostri occhi – scrive Walter Guadagnini nel catalogo della manifestazione – rivela il disordine sotteso a ogni tentativo di addomesticamento e di risoluzione dei conflitti, a partire da una riflessione sia sul rapporto tra uomo e natura – e sulle ambiguità di cui anche l’odierna attenzione nei confronti dell’ambiente è venata – sia sull’irrudicibilità di una bellezza che non salverà il mondo (come vuole una ormai logora e falsa semplificazione di un ben più complesso pensiero dostoievskiano) ma si dà come presenza ineludibile e necessaria della relazione tra uomo e mondo, in tutte le sue complesse articolazioni.»
Chiostri di San Pietro
Volendo entrare nel vivo della mostra che intende portare alla luce tendenze nuove della fotografia internazionale, ai Chiostri di San Pietro, recentemente restaurati, sono esposti i lavori relativi al paese ospite di quest’anno – il Giappone – in due gruppi: giovani fotografi giapponesi (Kenta Cobayashi, Motoyuki Daifu e Ryuichi Ishikawa) e giovani fotografi internazionali che hanno visitato il Giappone e ne hanno ricavato impressioni interessanti (Justine Emard, Vittorio Mortarotti e Anush Hamzehian, Pierfrancesco Celada, Pixy Liao).
Curata da Francesco Zanot, la mostra di Kenta Cobayashi ci mostra come, attraverso l’elaborazione, la fotografia può uscire dalla cornice, assumere forme geometriche altre dal rettangolo e dal quadrato e occupare, se le garba, anche il pavimento.
La serie di Motoyuki Daifu consiste in 20 inquadrature della madre mentre taglia una cipolla e versa lacrime di genuina irritazione.
Ryuichi Ishikawa presenta la serie più socialmente rilevante, esponendo inquadrature di persone che si sono isolate dalla civiltà e vivono, a diversi gradi di degenerazione, una vita solitaria.
Tra gli stanieri che guardano al Giappone con occhi nuovi, la cinese Pixy Liao descrive con ironia la propria relazione con un giapponese di 5 anni più giovane. Un rapporto ribaltato, dove l’uomo e la donna si scambiano il loro ruolo di sesso e potere.
Piefrancesco Celada, dal canto suo, con Japan, I wish I knew your name (a cura di Renata Ferri) esprime le proprie impressioni osservando la megalopoli Tokyo-Nagoya-Osaka, chiamata anche Taiheiyō Belt, andando a individuare zone di scarsa urbanizzazione o ampi spazi in cui la presenza umana si perde.
Vittorio Mortarotti prende spunto dalla lettera indirizzata al fratello morto da una sconosciuta e ignara amica giapponese, per intraprendere un viaggio che collega la sua tragedia ad altre catastrofi personali legate a quelle di cui il Giappone è stato oggetto, come il devastante terremoto del 2011. Non a caso, la sua mostra s’intitola The first day of good Wheather, che fu il comando in codice che il presidente Harry Truman diede per il lancio della bomba atomica su Hiroshima. La ricerca della sconosciuta amica mette Mortarotti in condizione di incontrare altri sopravvissuti e di attraversare altrettante macerie.
Il francese Samuel Gratacap, uno dei protagonisti della fotografia documentaria contemporanea europea, ha portato ai Chiostri di San Pietro il suo progetto sulle migrazioni. Fifty-Fifty, è stato realizzato nel 2014 in Libia, sul confine tunisino, dove il fotografo ha incontrato coloro che vivono a metà – ‘cinquanta-cinquanta’ – tra la vita e la morte. La mostra affronta il tema del Festival da un punto di vista esplicitamente sociale, politico, aprendo a ulteriori possibili letture.
La sua concittadina Justin Emard riprende le interazioni tra il ballerino Mirai Moriyama e il robot Alter, in un video che stimola la riflessione sulla condizione umana incardinato a un contesto in cui l’intelligenza artificiale guadagna sempre maggiore preminenza.
«Il lavoro della Emard […] pone al centro dell’attenzione il rapporto tra natura e artificio […] affrontato a partire dalla figura umana […] è evidente come la questione di fondo sia quella della ridefinizione dei termini stessi dello stare al mondo, e del mutamento di significato cui sono sottoposte tanto le parole quanto le cose in questa nuova, inedita condizione umana.» (Walter Guadagnini).
Una stanza dei chiostri è dedicata alla performance in cui un danzatore di Aterballetto(Clément Haenen), uno schermidore paralimpico, (Emanuele Lambertini) interpretano un primo studio del coreografo Diego Tortelli, dedicato all’esplorazione di rituali scenici e virtuosismi fuori dai canoni tradizionali. La piccola performance dialoga con le fotografie di Jacopo Benassi.
24 mostre, 10 sedi espositive in città , 6 partner in regione, oltre 120 artisti coinvolti, 85 eventi, oltre 400 appuntamenti nel Circuito OFF. A questa kermesse si collega nella vicina Modena, la mostra fotografica di Franco Fontana – Sintesi – alla Fondazione Modena Arti Visive.
Fotografia Europea è inoltre parte della rete denominata SISTEMA FESTIVAL FOTOGRAFIA che riunisce, oltre al festival reggiano, anche Photolux Festival di Lucca, Cortona On The Move, Festival della Fotografia Etica di Lodi e SI FEST di Savignano sul Rubicone, nello sviluppo di iniziative comuni, committenze fotografiche e molto altro.