Titolata semplicemente Antonello da Messina, la mostra aperta dal 21 febbraio al 2 giugno 2019 a Palazzo Reale di Milano è frutto della collaborazione fra Regione Siciliana e Comune di Milano-Cultura con la produzione di Palazzo Reale e MondoMostre Skira, si avvale della curatela di Giovanni Carlo Federico Villa e può contare su importanti prestiti, sia italiani che internazionali.

Di fronte al dipinto Ecce Homo (1475), di Antonello da Messina, olio su tavola (rovere?); 48,5 × 38 cm (la parte dipinta 43 x 32,4 cm). Piacenza, Collegio Alberoni
Sono solo 19 opere – su 35 che conta la sua autografia – ma è una grande mostra quella che Milano dedica ad Antonello da Messina. Una mostra che segue altrettanto importanti rassegne dedicate a Leonardo da Vinci, Giotto, Rubens, Caravaggio e Dürer.
Il sindaco Sala ha tenuto a precisare che a Milano non interessa essere “prima della classe”, ma che ogni mostra costituisce un impegno corale (il mantra del sindaco è “gioco di squadra”) finalizzato a valorizzare il patrimonio culturale dell’Italia intera.
Le difficoltà di organizzare una mostra di questo tipo sono ingenti, a causa dell’esiguità delle opere, disperse in un numero rilevante di istituzioni restie a privarsene. La trattativa è stata complessa (più che prestiti, qualcuno le chiama “estradizioni”) e ha implicato il restauro di alcune opere, contributi in denaro e il progetto di una prossima mostra a Palermo sul ritratto nel XX secolo, con prestiti da parte del Museo del Novecento.
Antonello è un pittore universalmente apprezzato e amato e ci parla ancora, attraverso i suoi ritratti, anche quelli sacri, nonostatnte i 550 anni che ci separano dalla sua scomparsa. Ci parla della natura umana come lui aveva imparato a rappresentarla e come noi, nonostante i secoli trascorsi, riconosciamo ancora come intimamente nostra.
Alcune sono opere minuscole, secondo l’uso delle Fiandre, area geografica che Antonello aveva visitato per carpire a Jan van Eyck il segreto della pittura a olio, normalmente stesa su tele di medie e piccole dimensioni, più adatte – in un paese in cui il fondamentalismo iconoclasta aveva spogliato i muri delle chiese protestanti – a essere ospitate sulle pareti delle case private.
L’allestimento, nelle grandi sale al pian terreno del Palazzo Reale di Milano, invece di rimpicciolire gli ambienti, per venire incontro all’esiguo numero e alle dimensioni, a volte minuscole, delle opere, va nella direzione opposta, espandendo i volumi, isolando le tavole nei grandi spazi, abbassando l’intensità dell’illuminazione e concentrandola sui dipinti. L’effetto è intimo e favorisce un contatto quasi “riservato” con i capolavori in mostra.
Impasti e velature, cromie e tocchi di biacca, su tavole, non solo di pioppo, ma anche di altre essenze, come il tiglio, la quercia, il noce o alberi da frutto, come il pero, preparate a gesso e perfettamente lisciate, con le fibre disposte in orizzontale anziché in verticale, con un rapporto fisso tra altezza e larghezza di 4:3. Per Vittorio Sgarbi, eccezionalmente presente in qualità di ex-assessore, prima di Milano e poi della Regione Sicilia all’affollatissima conferenza di presentazione, «Mai nessun pittore [prima di Antonello] era stato capace di dipingere persone – e non ritratti che rimanessero come memoria.»

Antonello da Messina, Ecce Homo (1475), olio su tavola (rovere?); 48,5 × 38 cm (la parte dipinta 43 x 32,4 cm). Piacenza, Collegio Alberoni
Così, il Gesù Cristo raffigurato nell’Ecce Homo, è un “poverocristo”, umiliato, abusato, deriso, travolto dall’angoscia per quello che subisce, per quello che l’aspetta, che incrocia i suoi occhi con i nostri, senza più pudore, senza più orgoglio. Alla lombarda, si potrebbbe dire che questo “l’è un Cristu cunt il magùn”.
Quanto al Ritratto d’Uomo, «A chi somiglia l’ignoto del Museo Mandralisca?» si chiedeva Leonardo Sciascia (Scritti d’arte, RCS Libri, 2000) «Al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al contadino e al principe del foro; somiglia a chi scrive questa nota (ci è stato detto); e certamente assomiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e la particolare umanità del personaggio. Impossibile. È un nobile o un plebeo? Un notaro o un contadino? Un pittore, un poeta, un sicario? Somiglia, ecco tutto».

Antonello da Messina, Annunciata (1475-1476). tempera e olio su tavola; 45 x 34,5 cm. Palermo , Galleria Regionale di Palazzo Abatellis
Mentre la Madonna adolescente della straordinaria tavola dell’Annunziata, con questo velo che sembra avvicinare la cultura musulmana a quella cristiana, si caratterizza per un’assenza: è l’angelo che, per Giovanni Carlo Federico Villa, curatore della mostra, non c’è perché si trova al di fuori del quadro, dove ci troviamo noi che l’osserviamo; per Vittorio Sgarbi, si trova invece dentro di lei. «Lei sta sentendo quello che l’angelo le dice. Non c’è bisogno che l’angelo si veda. Allontana tutti con la mano e con l’altra protegge il suo pudore».
Nel 1476, il Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza espresse il desiderio di chiamare a sé come pittore di corte, in sostituzione del defunto Zanetto Bugatto, il pittore “ceciliano” Antonello da Messina. Purtroppo, Antonello era impegnato a Venezia a completare la Pala di San Cassiano (non in mostra ma oggetto di un pannello tematico), di cui resta solo il frammento del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Per qualche ignota ragione, terminata l’opera, il pittore declinò l’invito e ritornò in Sicilia. Oggi, finalmente, Milano può avere Antonello e lo fa accogliendo alcune delle sue realizzazioni più iconiche.

Giovan Battista Cavalcaselle, Ritratto d’uomo Cefalù, da Antonello di Messina 30,0 x 21,1 cm. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana
Le opere in mostra sono accompagnate da 32 taccuini dello storico dell’arte Giovan Battista Cavalcaselle (1819‐1897) provenienti dal fondo cavalcaselliano della Biblioteca Marciana di Venezia – oggi patrimonio insostituibile per gli storici d’arte – autore del primo catalogo di Antonello da Messina.
A proposito del cosiddetto Ignoto Marinaio cantato da Vincenzo Consolo, il misterioso ritratto di Cefalù, che qualcuno avrebbe voluto nominare la “Monna Lisa di Sicilia”, sono ancora le parole di Sciascia che risuonano: «Il giuoco delle somiglianze è in Sicilia uno scandaglio delicato e sensibilissimo, uno strumento di conoscenza. A chi somiglia il bambino appena nato? A chi il socio, il vicino di casa, il compagno di viaggio? A chi la madonna che è sull’altare, Il Pantocrator di Monreale, il mostro di villa Palagonia? Non c’è ordine senza le somiglianze, non c’è conoscenza, non c’è giudizio. I ritratti di Antonello ‘somigliano’; sono l’idea stessa dell’archè; della somiglianza. A ciascuno si possono adattare tutte le definizione che sono state date dei siciliani, da Cicerone a Tomasi di Lampedusa: sono chiusi, sospettosi, sofisti; amano contraddirsi e contraddire, complicare le cose con l’astuzia e risolverle con secco intelletto; sono sensuali, avidi, violenti, tesi al possesso della donna e della roba, ma in ogni loro pensiero è annidata accettata vagheggiata la morte.»
La mostra, aperta dal 21 febbraio al 2 giugno 2019 a Palazzo Reale di Milano, è frutto della collaborazione fra la Regione Siciliana e il Comune di Milano-Cultura con la produzione di Palazzo Reale e MondoMostre Skira.
Antonello da Messina
dal 21 febbraio al 2 giugno 2019
a cura di Giovanni Carlo Federico Villa
Palazzo Reale – Milano
Per maggiori informazioni:
www.mostraantonello.it
www.palazzorealemilano.it
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C’è una sola foto delle ultime in fondo che ritragggono i protagonisti attuali della mostra senza didascalia. Imperdonabile!