Andy Warhol. L’alchimista
alla Villa Reale di Monza

Dal 25 gennaio al 28 aprile 2019, la mostra Andy Warhol. L’alchimista degli anni Sessanta, curata da Maurizio Vanni, all’Orangerie della Reggia di Monza

Self-Portrait. Screenprint on Curtis Rag Paper 114.3×88.9cm

140 opere che, gettando luce sull’artista, si propongono di favorire un’indagine anche sull’America degli anni sessanta e ottanta come avrebbe potuto apparire al maestro. In fondo, è straordinario come Warhol abbia avuto un impatto così determinante sullo scenario culturale della sua contemporaneità e ancora ne abbia sulla nostra.

Tuttavia, Andy Warhol è stato un elemento talmente familiare nel panorama che ci ha accompagnato in questi ultimi sessant’anni, da renderci difficile prenderlo in considerazione per un’analisi approfondita dell’influenza che ha esercitato su di noi.

Della sua generazione, dell’America in cui era immerso, di se stesso scriveva: «Non abbiamo tempo per ricordare il passato e non abbiamo l’energia per immaginare il futuro, siamo così indaffarati, possiamo soltanto pensare: Ora!»

Il titolo dell’esposizione fa riferimento alla “trasmutazione” come metafora del processo tecnico concepito da Warhol per le sue opere più rappresentative: dalla fotografia, al telaio serigrafico, alla tela o alla carta, con un’immagine che non è più quella originale e che, pur essendo riproducibile in multipli, cederà sempre un’immagine diversa e, a suo modo, nuovamente “originale”, perché mai identica alla stampa precedente o alla successiva.

Per quanto riguarda i soggetti delle sue opere, la genialità di Warhol è stata di concentrarsi su prodotti ubiqui, quotidianamente onnipresenti nella realtà della gente, resi universalmente noti, “popolari”, dalla pubblicità. Nell’epoca della supremazia del mercato, l’artista ha “mercificato” le merci e le stesse “celebrità”, così come appaiono nelle immagini sui rotocalchi, nei redazionali ma anche sulle pagine pubblicitarie, riducendole a icone del presente: dalla Coca-Cola alle celebri Campbell’s Soup e Brillo Boxes, ai ritratti iconici del Che, Muhammad Alì, Mao Zedong, Marilyn Monroe e Elvis Presley, o le immagini di altre personalità quali Joseph Beuys, Leo Castelli, David Hockney, Man Ray.

Appena appresa la notizia della morte di Marilyn Monroe, nell’agosto del 1962, Warhol decise di realizzare una serie di opere utilizzando una foto pubblicitaria in bianco e nero tratta dal film “Niagara” del 1953.

Stessa cosa con la serie Jackie, ovvero le immagini di Jacqueline Kennedy, colte durante il funerale del marito John Fitzgerald Kennedy. Il presidente degli Stati Uniti è inoltre il protagonista di Flash, undici serigrafie che raffigurano la rappresentazione mediatica dell’assassinio del 22 novembre 1963.

Cinismo? Opportunismo? Dissacrazione? In fondo, l’immagine della diva e quelle della coppia presidenziale erano già diventate prodotto di consumo di massa, attraverso le pubblicazioni patinate e i tabloid che sfruttavano il clamore delle notizie che le riguardavano per vendere copie. Nelle parole dello stesso Warhol:

«E’ una materializzazione di tutto ciò che si può comprare e vendere, dei simboli concreti ma effimeri che ci fanno vivere».

In fondo Andy Warhol non fa che portare il processo di mercificazione un passo oltre, nobilitando il prodotto e, nel contempo, mercificando la stessa Arte, facendo dell’Arte stessa un prodotto di consumo di massa, in completa coerenza con quello che era – con quello che è – la realtà contemporanea.

La mostra non trascura un lato importante della personalità dell’artista: il suo coinvolgimento nella scena del Rock internazionale: produttore, come nel caso dei Velvet Underground di Lou Reed e Nico, o creatore di copertine, come quelle di artisti quali Diana Ross, The Rolling Stones John Lennon, Aretha Franklin, Miguel Bosé, Loredana Bertè e altri.

Così come la rassegna prende in considerazione il rapporto dell’artista con gli elementi più controversi della rivoluzione sessuale, come il travestitismo e il “transgender”, qui ottimamente rappresentati nella serie Ladies and Gentleman del 1975, che ritrae soggetti che sono, appunto, al contempo, “signori” e “signore” o nella proiezione del film Women in revolt del 1971, prodotto da Andy Warhol, girato in una New York in fermento e doppiato nella versione italiana da Vladimir Luxuria.

Ultima tappa, i gioielli di Armando Tanzini dal gusto pop e contaminazioni africane ideati e prodotti in collaborazione con Andy Warhol, mentre la rassegna si chiude con la proiezione dell’ultimo film girato da Andy Warhol, che racconta il suo viaggio da New York a Cape Code nel maggio del 1982.

La mosta è frutto di un articolato sforzo organizzativo. Curata da Maurizio Vanni, Andy Warhol. L’alchimista degli anni Sessanta è prodotta dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza e dall’Associazione Culturale Spirale D’Idee in collaborazione con l’Associazione Culturale Metamorfosi, col patrocinio del Comune di Monza e della Regione Lombardia.

Di alto profilo culturale, accompagnata  da un volume (Silvana Editoriale) che di avvale  della partecipazione della The Andy Warhol Art Works Foundation for the Visual Arts, con testi del curatore, e testimonianze di Pietro Folena e Francesco Gallo Mazzeo, di Vladimir Luxuria, per gli aspetti legati alla rivoluzione sessuale, e dei Nomadi, per quelli connessi alla musica, l’esposizione rientra nel più ampio piano di promozione dell’intero complesso monumentale del Piermarini.

ANDY WARHOL. L’alchimista degli anni Sessanta
a cura di Maurizio Vanni
Monza, Reggia di Monza Orangerie (viale Brianza, 1)
25 gennaio – 28 aprile 2019

Maggiori informazioni:
http://www.reggiadimonza.it/warholmonza

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