Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta Ya basta hijos de puta la personale di Teresa Margolles. Le 14 installazioni dell’artista esplorano gli scomodi temi della morte, dell’ingiustizia sociale, dell’odio di genere, della marginalità e della corruzione (di Cristina Risciglione).

Teresa Margolles, La búsqueda (2014), La tragica e costante sparizione di donne in diverse città messicane
In Italia, la cadenza dei femminicidi è di poco superiore a uno ogni tre giorni. In Messico vengono uccise tre donne ogni due giorni. In Italia, tre femminicidi su quattro accadono in famiglia. In Messico, una donna (o una bambina) esce di casa e scompare per sempre. A volte il corpo viene ritrovato a pezzi nel deserto che circonda le città. Più spesso, non viene neppure ritrovato.
Quando si parla di femminicidio, bisogna tener presente che quanto succede in Italia, seppure manifestazione di un malessere preoccupante e deprecabile, in Messico rientra nel fenomeno più generale della violenza efferata, disumana, spesso gratuita e incontrastata, che si accompagna al narcotraffico.
Entrando nei locali del PAC che ospitano la mostra di Teresa Margolles, non si può fare a meno di notare un odore acre che provoca un vago senso di disagio. Proviene dalla galleria del Padiglione, dove una macchina nebulizza una cortina di fumo che invade tutto il locale. Nel serbatoio che contiene il liquido – viene sottolineato “innocuo” – sono stati deposti frammenti dei lenzuoli che avvolgono i cadaveri conservati all’obitorio (Vaporización, 2002-2018). I visitatori sarebbero invitati ad attraversare la nebbia del locale, sebbene pochi si prestino.

L’opera di Teresa Margolles è così: non passa inosservata. Del resto, Ya basta hijos de puta parla del fenomeno della violenza che affligge la società messicana e in particolare della violenza sulle donne in cui il Messico, uno dei paesi più violenti al mondo, si è distinto al punto da aggiudicarsi un discutibile primato: quello di aver coniato il termine “femminicidio”.
Sparizioni e femminicidi ripetuti segnalano l’inesistente rispetto per la vita delle umili operaie delle fabbriche elettroniche; meno ancora quella di transessuali e prostitute, la cui vita (e morte) non interessa ai gruppi di potere politici ed economici, men che meno alle organizzazioni criminali. Sono centinaia le donne scomparse ogni anno i cui corpi sono destinati a non essere più ritrovati.
Lo testimoniano i pannelli delle fermate dei bus, dove vengono affissi gli annunci di sparizione di giovani donne, spesso poco più che bambine. Esposte agli agenti atmosferici, alla luce del sole, queste richieste di aiuto invecchiano, sbiadiscono, si consumano, ma rimangono incollate ai vetri, a permanente riconferma della loro patetica inutilità (La búsqueda, 2014).
Le opere di Teresa Margolles sono basate sui reperti che vengono associati a crimini di violenza, devianza, sopraffazione. Sono reliquie, tertimoni del martirio sacrificale che interessa il popolo messicano dei sobborghi delle città di confine dove sorgono le maquiladora, imprese esentate dal pagamento delle tasse e dell’Iva.
«Nella sua poetica – scrive Diego Sileo – l’informe e il mostruoso rispondono a una logica dei flussi del desiderio che tendono a destituire le identità simboliche degli oggetti e dei soggetti, un’estetica cruenta come ricorso schizofrenico per liberare l’orrore dai suoi ordini di significazione e condurre il suo registro di puro flusso e pulsione. In sintesi, la specificità dell’opera [di Teresa Margolles] fa del terrore uno strumento attraverso il quale si mette in atto un significato complesso dell’orrore come qualità estetica e vitale, che funziona a distinti livelli di relazione come una forma di sovversione dell’arte davanti ai canoni con i quali si definisce.»
Il breve video El agua en la ciudad de México mostra il lavaggio di un cadavere prima dell’esecuzione dell’esame outoptico in un laboratorio forense, svelando così allo spettatore la tipologia dell’acqua usata nei lavori di Teresa Margolles. Come nell’opera Papele, un’installazione di fogli di carta acquerello intrisi del sangue dei cadaveri negli obitori, che presenta forme astratte di gradazioni e intensità diverse di rosso.
Un filo teso attraversa lo spazio del Padiglione (57 cuerpos, 2010-2018), composto dai fili annodati, usati per ricucire i cadaveri dopo l’esame autoptico. Altre reliquie
Formatasi in medicina legale, Teresa Margolles ha lavorato per dieci anni con il collettivo SEMEFO (Servicio Médico Forense), fondato nel 1990 a Città del Messico, che denunciava la violenza sistematica nella società contemporanea. Studiando a fondo le dinamiche scaturite dalla violenza e le conseguenze che la paura ha prodotto nella società, l’artista ha vissuto in prima persona ciò che la guerra al narcotraffico ha causato alla città e ai suoi abitanti, la distruzione del tessuto urbano, architettonico e sociale. L’artista messicana nata a Culiacán, Sinaloa nel 1963 oggi vive e lavora tra Città del Messico e Madrid.
Teresa Margolles, Ya Basta Hijios De Puta
a cura di Diego Sileo
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano
28 marzo – 20 maggio 2018
Promossa dal Comune di Milano – Cultura
Prodotta dal PAC con Silvana Editoriale
Maggiori informazioni:
pacmilano.it
T. 02 88446359