L’esposizione è costituita da nove trans-padiglioni collegati in un percorso in cui sono distribuiti i lavori di 120 artisti selezionati dalla curatrice: Padiglione Centrale dei Giardini, dove i trans-padiglioni sono due: Padiglione deli Artisti e dei Libri e Padiglione delle Gioie e delle Paure; – Corderie dell’Arsenale: Padiglione dello Spazio Comune, Padiglione della Terra, Padiglione delle Tradizioni, Padiglione degli Sciamani, Padiglione Dionisiaco, Padiglione dei Colori, Padiglione del Tempo e dell’Infinito.
Nonostante il suddetto ordine, sembra comunque naturale incominciare la visita dall’Arsenale (di Cristina Risciglione e Renato Corpaci).
ARSENALE
Tunisia: The Absence of Path Mounir Fatmi, curatrice Lina Lazaar.
Di nuovo alla Biennale, dopo un’assenza di oltre sessant’anni, la presenza della Tunisia è caratterizzata da un’installazione, ma anche una performance, che coinvolge il visitatore che di buon grado accetta di farne parte, sui temi che circondano i concetti di territorio, nazionalità, esilio, profughi, migrazione e frontiere.
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Argentina: Il problema del cavallo di Claudia Fontes.
Un aura surreale prende le mosse da un dipinto del XIX secolo che per gli argentini è una sorta di icona su cui venne costruita l’identità nazionale (The return of indian raid di Ángel Della Valle), ma ne stravolge la narrazione estrapolando due personaggi secondari (la donna e il cavallo) e facendone i protagonisti.
«L’installazione mostra una scena congelata nella quale un cavallo, una donna e un giovane uomo reagiscono in modi diversi a un paradosso – spiega Claudia Fontes sul suo sito – una crisi si sta sviluppando, e i suoi sintomi sono, allo stesso tempo, il problema che l’ha causata. La scena si ispira alle icone culturali del XIX secolo, intorno alle quali è stata artificialmente costruita l’identità culturale dell’Argentina, e le sfida con un’immagine surreale mozzafiato che ha la qualità di un’apparizione.»
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Messico: Life in the folds di Carlo Amorales
Life in the folds (il titolo si riferisce al romanzo di Henri Michaux pubblicato nel 1949) è un’opera d’arte totale in cui le diverse discipline coinvolte – tra cui arti visive, grafica, animazione, film, musica, letteratura, poesia e performance – concorrono a creare una sensazione di completezza. A partire da un dipinto della serie El esplendor geométrico (2015), che ha dato vita alle forme astratte sulle quali si basa, l’installazione si sviluppa con un gruppo di poesie scritte in un alfabeto criptato, ciascun carattere, inteso come oggetto tridimensionale, è anche uno strumento a fiato in ceramica; un’ocarina che, se suonata, emette un suono particolare per ogni lettera. Una partitura grafica, realizzata a partire da questi caratteri, viene interpretata da un ensemble che suona le ocarine. A completare l’installazione il film di animazione La aldea maldita (Il villaggio dannato).
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Sud Africa: Curatori: Candice Breitz e Mohau Modisakeng.
Il padiglione del Sud Africa affronta argomenti che riguardano l’identità e il sé.
In un primo spazio, il lavoro di Mohau Modisakeng consiste nella proiezione di belle immagini in cui un uomo e una donna giacciono in una piccola barca semisommersa alla deriva.
I una seconda stanza, nell’opera di Candice Breitz Love Story, gli attori americani Julianne More e Alec Baldwin recitano racconti di profughi costretti ad affrontare i rischi di una migrazione forzata. Nella terza stanza, sei schermi restituiscono i resoconti di autentici testimoni di altrettante storie di rocambolesche fughe da regimi oppressivi. Quest’ultima opera pone il visitatore di fronte alla consapevolezza della propria indifferenza, seppure involontaria, non per la fittizia recita delle star di Hollywood, ma per i drammi di autentici esseri umani.
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Singapore.
L’artista Zai Kuning ripercorre il mito dell’impero Srivijayan stabilito nel VII secolo dal re sovrano malese Dapunta Hyang Sri Jayanasa. Lo scheletro di un grande vascello sovrasta una superfice traslucida su cui è posato un carico di libri imbrattato da una colata di cera d’api.
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Hyperpavilion, curatore Philippe Riss-Schmidt
Antropocene è il termine usato per descrivere un’era di completo controllo del pianeta da parte degli esseri umani attraverso la tecnologia. Un’epoca caratterizzata dall’impatto dell’uomo sull’ecosistema, in riferimento all’ipotesi utopistica che descrive la Terra come un sistema intelligente e autoregolato. La mostra è prodotta da una casa di produzione coreana che presenta una selezione di opere degli artisti Aram Bartholl, Vincent Broquaire, Claude Closky, Frederik De Wilde, LabNT2, Lawrence Lek, Claire Malrieux, Théo Massoulier, Julien Prévieux, Paul Souviron, Théo Triantaffyllidis, dal forte contenuto tecnologico.
«Ci troviamo sul limitare di un’era in cui inizia la sintetizzazione del passato in un (neo-)futuro». –Philippe Riss -Schmidt
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Padiglione Libanese, Zad Moultaka, curatore Emmanuel Daydé, (Saleh Barakat, Sandra Dagher)
Il tratto distintivo del Libano è quello di un crogiolo di culture diverse, nel passato esempio di coesistenza, oggi emblema della discordia che affligge il Medioriente e che si va diffondendo in Occidente. L’opera di Moultaca, musicista e artista visivo, “occupa” lo spazio del padiglione libanese con un’opera che è al contempo visuale e sonora. Un’esperienza totale in cui il reattore di un bombardiere emerge come una stele al centro dell’oscurità inondata da suoni inquietanti, culminanti in un’esplosione. Sullo sfondo, una parete bizantina riproduce una replica sensitiva dei mosaici di San Marco.
UN PERSIANO ALLA BIENNALE DI VENEZIA – 1
UN PERSIANO ALLA BIENNALE DI VENEZIA – 3