ANTONIO LIGABUE – CASTELLO VISCONTEO DI PAVIA

Antonio Ligabue, Scuderie del Castello Visconteo, Pavia, marzo-giugno 2017.

Un uomo va dal neurologo e dichiara: «Dottore, mi sento infelice, mi dia qualcosa contro la depressione». Il medico pone qualche domanda per delineare il quadro clinico dell’uomo che gli racconta le controverse vicende della propria vita. Alla fine il medico emette la diagnosi: «Lei non è depresso. Lei possiede dei seri motivi per essere infelice». Questo aneddoto può aiutare a capire la complessa figura di Antonio Ligabue.

Il pittore è stato spesso paragonato a Van Gogh, per l’instabilità psichica e per la maniera originale di dipingere. Tuttavia, Van Gogh (vedi nostro articolo) soffriva realmente di schizofrenia, mentre Ligabue “aveva dei seri motivi”.

Antonio Ligabue, autoritratto

Nato a Zurigo nel 1899 da una ragazza italiana, a nove anni fu affidato in adozione a un’anziana coppia svizzero-tedesca che egualmente viveva in ristrettezze economiche. Durante il periodo dell’educazione, passò spesso da un istituto all’altro, nessuno in grado di gestire il suo comportamento agitato. Un giorno del 1919, la madre adottiva più per sfogarsi, che per una vera e propria denuncia, si recò al municipio della città per lamentarsi di lui, senza immaginare che così facendo ne avrebbe determinato l’involontaria espulsione.

Così, Antonio Ligabue giunse a Gualtieri, il paese d’origine dell’uomo che gli aveva dato il suo cognome. Fece il suo ingresso nel paese della bassa reggiana con le manette ai polsi e scortato dai carabinieri, un evento che egli stesso ritrasse in seguito in uno dei suoi pittoreschi dipinti. La prima impressione non contribuì a instillare nella popolazione un senso di fiducia e di rispetto.

Un grande bisogno di essere amato e l’incapacità totale di stabilire dei rapporti normali con il prossimo hanno caratterizzato la vita di questo artista che ha convogliato il proprio disagio esistenziale in un compulsivo bisogno di esprimersi dipingendo.

Quando negli anni ‘70 esplose il boom mediatico dei pittori naïf, Ligabue fu subito accreditato a questo genere figurativo. Era in buona compagnia, dato che anche Rousseau il Doganiere venne frettolosamente etichettato come tale.

Sandro Parmiggiani, cocuratore

In seguito, fortunatamente, i critici che si occuparono dei due artisti, contribuirono a circoscriverli nei parametri che maggiormente rendono loro giustizia: ultimamente Rousseau con la mostra di Venezia; Ligabue con questa antologica ai Musei Civici di Pavia che si propone di capovolgere il canonico percorso d’indagine: non dalla vita all’opera ma dall’opera alla vita del tormentato pittore.

Sergio Negri, cocuratore, responsabile del catalogo del pittore Antonio Ligabue

Grazie alla collaborazione della Fondazione Antonio Ligabue di Gualtieri, oltre cinquanta opere tra dipinti, sculture e incisioni e disegni animano le sale delle Scuderie del Castello Visconteo. La curatela di Sandro Parmiggiani e di Sergio Negri ha creato un percorso che attraversa i tre generi fondamentali frequentati dalla pittura di Ligabue: gli animali (selvaggi e domestici) il panorama campestre e l’autoritratto.

L’espressionismo tragico di Ligabue produce animali che sono rappresentati quasi costantemente in conflitto tra loro, circondati da una natura lussureggiante. Raccontano la violenza insita nella vita stessa, quel prevalere o soccombere che è la cifra dell’esistenza di ogni essere vivente. Nessuna ingenuità in tutto questo, ma una consapevolezza dovuta dall’esperienza sul campo, espressione di una visione pessimistica ancestrale che riecheggia il candore esistenziale dei filosofi presocratici.

Nessuna approssimazione. Gli animali sono dipinti nei minimi particolari, sulla base di un’osservazione minuziosa, di una memoria visiva potentissima. La sua cultura al riguardo deriva dalla frequentazioni dei musei naturalistici, dei circhi; dall’esame di manuali e atlanti di zoologia, della raccolta delle figurine Liebig.

Ligabue era dotato di una fisionomia bizzarra, aggravata da frequenti atti di deliberato autolesionismo. Gli autoritratti rappresentano una sorta di racconto autobiografico. Nei tratti tormentati del volto di Ligabue, è possibile indovinare la sofferenza, l’angoscia esistenziale, la disperata richiesta di riconoscimento e di amore, ma anche l’orgoglio dell’artista consapevole che le sue opere sopravviveranno alla morte.

Troppo a lungo l’interpretazione della sua arte si è lasciata ingannare dallo squilibrato amore dell’uomo per il mondo animale e dalla vena di follia che lo aveva portato dentro e fuori gli istituti psichiatrici. È ora di superare tutto questo e di osservare la sua opera come la produzione di un maestro che ha saputo collocarsi con incredibile coerenza al di fuori delle scuole e delle tendenze del suo tempo per dar fiato a una genuina ispirazione a cui è stato fedele per tutta la sua esistenza, nonostante le circostanze che gli hanno reso la vita impossibile.

ANTONIO LIGABUE
17 marzo – 18 giugno 2017
Scuderie del Castello Visconteo
A cura di Sandro Parmiggiani, Sergio Negri,
in collaborazione con Simona Bartolena
Un progetto ViDi in collaborazione con Fondazione Antonio Ligabue, Gualtieri e
con il Comune di Pavia.
Catalogo Skira con testi di Sandro Parmiggiani, Sergio Negri, Giuseppe Amadei, Simona Bartolena, Luciano Manicardi, Sergio Terzi.

Per tutta la durata della rassegna, è in programma una serie di attività didattiche, incontri e visite guidate gratuite per bambini e adulti.

Condividi su:
Pin Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *