I manicomi emanano un fascino misterioso, intriso di sofferenza, ingiustizia e, non di rado, sadismo. Prima che la legge 180 chiudesse questi luoghi di “contenzione” – una parola che esprime un significato più temibile rispetto al termine “reclusione” – qui, a far compagnia ai “matti”, ai malati reali, come schizzofrenici, paranoici e alienati in generale, venivano recluse tutte quelle persone che, per disabilità psichica congenita, per estroversione o per insofferenza a regole imposte da altri, esprimevano pensieri e comportamenti non aderenti alla “norma”. (di Cristina Risciglione)
Socialmente, la “norma” presenta diverse sfaccettature, in riferimento al comportamento sociale, produttivo, politico, sessuale, fino al paradosso di considerare anche l’arte un vero e proprio elemento di devianza.
Bastava che una ragazza dimostrasse di essere un po’ troppo “agitata”, perché un padre severo e una madre timorata di Dio fossero lesti, prima che si manifestasse “il peggio”, a gettare la spugna e ad affidarla a un bravo psichiatra. Oppure che un ragazzo un po’ effemminato mostrasse dei comportamenti “artistici”, perché la famiglia provvedesse al più presto a correre ai ripari e a nasconderne le tendenze sotto l’onta un po’ meno infamante della malattia mentale.
Quanto poi a quelle persone che si dimostrassero pronte a sfidare il carcere semplicemente in nome di un ideale, non c’era neppure bisogno di stare lì a pensarci troppo: era solo questione, in base a una presunta pericolosità, di a chi affidare il compito di raddrizzarli: se alla casa circondariale o al frenocomio.

Claudio Grandoli, Biblioteca-Museo Cesare Lombroso, tra i fondatori dell’associazione “Inclusione Graffio e Parola”, ex ospedale psichiatrico San Gerolamo.
Ai matti era riservato il gradino più basso della scala sociale. Le persone colpite da questa sciagura, perdevano ogni autonomia, intimità, ogni diritto umano, in balia a volte di infermieri più malati di loro e di “scienziati” senza scrupoli che li sottoponevano, nel nome della Scienza, ai più atroci “esperimenti”, con l’obbiettivo dichiarato di strapparli a una malattia frutto di anamnesi viziate dal pregiudizio e da valutazioni infondate.